Nubi cupe si addensano all’orizzonte della nostra già disastrata economia mondiale. Si registrano segnali tragici che provengono da ogni settore produttivo e finanziario, lasciando fievoli e incerte speranze per il futuro. Il mondo sta vivendo la più grossa crisi dal dopoguerra, e questa inaspettata ventata di caos a poco a poco sta erodendo le nostre certezze riguardo alla possibilità di un futuro felice e tranquillo.
La crisi, di cui sentiamo parlare ogni giorno, anche se forse in Italia ancora un po’ in sordina, prima ha colpito il settore finanziario, mettendo in ginocchio enormi colossi bancari, e ora, a causa della crisi del credito, sta iniziando a lambire l’economia reale. Nessun settore è estraneo a questo collasso, ma indubbiamente un colpo particolarmente duro lo sta subendo il comparto automobilistico, che è uno dei settori chiave delle economie mature di tutto il mondo e che quindi avrà effetti devastanti sull’intero sistema.
Il 18 marzo 2009, l’Istat ha comunicato i seguenti dati: la produzione industriale a gennaio è diminuita dello 0,2% rispetto a dicembre. L’indice corretto per giorni lavorativi ha registrato un calo del 16,7% rispetto a gennaio 2008. Anche la produzione nel settore auto a gennaio ha fatto registrare il terzo calo a due cifre. Il calo è del 54,6%, contro il 54,1% di dicembre e il 55,8% di novembre.
Si tratta di dati enormemente preoccupanti, destinati a fare molto riflettere sui problemi del settore auto; i tre gruppi americani, GM, Ford e Chrysler sono tra i più colpiti, sia a causa della grave recessione economica che sta investendo gli Stati Uniti, sia perché tali aziende risentono di precedenti crisi strutturali specifiche non del tutto rientrate o di recenti alleanze che non hanno avuto successo, oppure ancora di strategie di mercato che si sono rivelate fallimentari. In ogni caso, alla base delle gravi difficoltà economiche in cui si trovano questi marchi, vi è la perdita progressiva di grosse fette di mercato negli USA, perdite non compensate dall’andamento dei mercati esteri. Per cercare di risollevare questi tre colossi industriali il cui fallimento comporterebbe per gli USA contraccolpi drammatici sul piano dell’occupazione, anche per l’effetto che avrebbe su tutto l’indotto il governo americano ha stanziato grossi finanziamenti statali, per salvare soprattutto GM e Chrysler (includendo gli incentivi alla rottamazione si raggiungono i 130 miliardi di dollari), chiedendo, come contropartita, nuove strategie di produzione orientate verso veicoli, genericamente e demagogicamente definiti “non inquinanti”. Come se l’industria dell’auto statunitense (o quella europea o giapponese) avesse commercializzato fin d’ora prodotti fuori dalle normative USA o europee, le prime, in particolare, da sempre tra le più severe in tema di emissioni e sicurezza.
Ma anche in Europa il settore automobilistico non gode certo di buona salute, e tutte le principali case automobilistiche, e di conseguenza tutta la rete di PMI a loro collegate, stanno crollando sotto i colpi della crisi. La Francia stanzierà tre miliardi di euro in aiuti diretti a vantaggio della Renault e del gruppo Psa, ossia di Peugeot e Citroën. Inoltre, è stato confermato il sussidio di sei miliardi di euro (in crediti rimborsabili in cinque anni a tasso agevolato: si parla del 67% contro l’1112% del mercato economico francese) che sarà equamente ripartito fra le due società, le quali dovranno impegnarsi a non delocalizzare la produzione e a difendere i posti di lavoro in Francia. Per quanto concerne la Germania, hanno chiesto aiuti pubblici sia la filiale tedesca di Ford, con grandi impianti a Colonia e Saarbruecken, che il gruppo Opel GMC Europe, attualmente in trattativa con il governo federale tedesco per riuscire a salvare l’azienda. Persino Daimler, la casa che detiene il prestigioso marchio Mercedes, è a favore di aiuti pubblici, a fronte di un crollo senza precedenti delle vendite che l’ha costretta ad allungare le ferie natalizie a 5 settimane, a porsi come obiettivo la produzione di 45mila vetture in meno e a studiare l’introduzione dell’ orario accorciato. Tagli alla produzione (meno 25mila almeno) anche per la Bmw e la Volkswagen, e ferie allungate persino a Audi, nonché allarme per la Porsche.
In Italia, invece, non ci si è ancora mossi; sono solo stati annunciati ecoincentivi alla rottamazione, generici aiuti alle imprese e sono state aperte le trattative con le parti sociali per discutere riguardo ai possibili ammortizzatori sociali da predisporre.
Un “ultimo” dato allarmante arriva dall’Oriente, dove si è registrato un vero e proprio crollo dei produttori giapponesi nel mese di febbraio scorso: le case automobilistiche del Sol Levante hanno assemblato il 50% di unità in meno rispetto allo stesso mese dello anno passato. Entrando nel dettaglio dei vari costruttori si scopre che Nissan ha subito la contrazione più grave: al 68,8% per quanto riguarda i veicoli destinati al mercato interno, e al 37,8% per gli esemplari destinati all’export. Mitsubishi e Toyota seguono a ruota, rispettivamente al 65% e al 64% (56,4% l’intero gruppo Toyota), sempre per quanto riguarda il mercato giapponese. Su valori analogamente drammatici si attestano Mazda e Honda (54,6% e 48,4% rispettivamente sulla produzione interna), con la sola eccezione di Suzuki, che riesce a contenere il calo dei ritmi produttivi al 19,6%.
I dati sono chiaramente impressionanti. Siamo in una delle peggiori congiunture mondiali dopo il secondo dopoguerra, e, ottant’anni dopo la crisi del ’29, non sono ancora stati elaborati strumenti adeguati per attuare piani economici comuni di salvataggio. Ogni Stato cerca di salvare e tutelare le proprie aziende con manovre al limite del protezionismo, ignorando la reale necessità di una cooperazione a livello globale, indispensabile per cercare di uscire da questa crisi così radicata nella struttura stessa del tessuto economico moderno. Paesi come gli USA probabilmente riusciranno a risollevarsi dal crollo, ma è impensabile che l’Europa, senza una decisa azione comune e unitaria per rilanciare lo sviluppo, possa riemergere a testa alta da questa recessione. Sicuramente la situazione è troppo complessa per fare previsioni attendibili; alcuni analisti ritengono che dopo un periodo di fallimenti e di concentrazioni ulteriori delle multinazionali dell’automobile verranno a configurarsi nuovi gruppi economici che cambieranno radicalmente l’intera concezione del settore dell’auto.
Probabilmente è ancora troppo presto per azzardare previsioni, ma il fatto certo è che questa crisi sta mettendo in evidenza in modo drammatico l’inadeguatezza del sistema economico mondiale, non regolamentato e troppo vulnerabile e interconnesso per poter essere lasciato da solo al suo, triste, destino; e, ancora di più, sta mostrando tutte le contraddizioni di un’Europa che si è illusa di creare una moneta unica senza creare lo Stato federale europeo indispensabile per governarla e per realizzare una politica economica unica.