La crisi che sta colpendo la Grecia da ormai tre anni ha in realtà origini profonde radicate nelle istituzioni e nelle caratteristiche del paese. Basti pensare che si stima che un terzo della popolazione greca sia dipendente statale, con le ovvie conseguenze: ad esempio alcuni dipartimenti dell’amministrazione pubblica arrivano a contare cinquanta autisti per ogni auto blu. Oppure, il principale ospedale di Atene ha assunto ben quarantacinque giardinieri; mentre ci sono 40.000 pensioni di mille euro al mese erogate sulla base del solo, ed esclusivo, titolo di essere figlie nubili di funzionari statali defunti. Esistono inoltre seicento categorie di lavoratori che vanno in pensione a 55 anni a causa della loro professione logorante: inclusi parrucchieri, musicisti di strumenti a fiato e presentatori televisivi. Oppure, ancora, poiché spetta al coniuge rimasto in vita comunicare all’ente competente di iniziare ad erogare la pensione di reversibilità al posto di quella percepita direttamente dal defunto, sembra che in Grecia ci siano ben novemila ultracentenari che percepiscono la pensione.

Come si sta intervenendo su questa situazione, chiaramente insostenibile, che si accompagna anche a tassi di corruzione tra i più elevati in assoluto?

Da un lato ci sono gli interventi dall’esterno a sostegno del debito greco, per evitare un default del paese, la cui lunga e tormentata storia è molto significativa. Dopo il primo downgrading subito dalla Grecia all’inizio del 2010 da parte delle agenzie di rating internazionali, nel maggio dello stesso anno è stato predisposto, da parte dei paesi membri della zona euro, un pacchetto di 110 miliardi di euro di aiuti da spalmare in tre anni. L’intervento si è dimostrato insufficiente, non essendo riuscito a calmare i mercati, che hanno continuato a non credere né che la Grecia potesse risanare la propria situazione, né che i partner europei fossero disponibili a proseguire nel loro sostegno; tanto che nel 2011 Atene ha subito un ulteriore taglio del rating che ha portato il debito ellenico a essere considerato un investimento a rischio altamente speculativo, costringendo il governo greco (anche sotto la spinta dalle pressioni dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale) ad effettuare altri tagli per 6,5 miliardi di euro e ingenti privatizzazioni, al fine di ricavare nuovi fondi.

Nel frattempo la crisi, ovviamente, ha avuto pesantissimi riflessi anche sulla situazione occupazionale, con un tasso di disoccupazione che ha raggiunto il 15,9%. E il paese è entrato in una pesante recessione.

Nei mesi successivi, dopo l’approvazione da parte del parlamento ellenico di un ulteriore nuovo piano di austerità (che impone al paese tagli per 28 miliardi di euro entro il 2015), l’Unione europea ha dato il via libera alle nuove tranche d’aiuti per tutto il 2011. Ma nel settembre del 2011, dopo un ennesimo aggravarsi dell’attacco speculativo dei mercati, il governo greco è stato costretto a varare un’ulteriore manovra, tassando gli immobili allo scopo di recuperare 2,5 miliardi di euro da usare come garanzia per poter ottenere una nuova tranche d’aiuti pari a otto miliardi di euro. Ma neppure questa manovra si è rivelata sufficiente, e nello stesso mese il governo ha dovuto varare una nuova, drammatica finanziaria che prevede un ulteriore taglio alle pensioni, la messa in mobilità di 30.000 dipendenti statali già dal 2011 e il prolungamento della precedente tassa sugli immobili fino al 2014.

Tutto questo non ha restituito ai mercati nessuna fiducia nei confronti della Grecia: all’inizio di quest’anno, l’agenzia di rating Fitch dava ormai per certo il default della Grecia. Dalla Germania, uno dei paesi più esposto al debito greco, veniva addirittura una proposta (rifiutata, ovviamente, con grande sdegno) di commissariare il paese, affidando alla Commissione europea il compito di stabilire gli interventi necessari per sbloccare la situazione. Ancora in febbraio l’ipotesi del default sembrava inevitabile, visto che i partiti politici non riuscivano a trovare un accordo per procedere ai nuovi tagli alla spesa pubblica necessari come garanzia per ottenere l’aiuto economico da parte della troika (BCE, FMI e UE) attraverso un prestito di 130 miliardi di euro necessari per rimborsare i bond in scadenza a marzo.

La crisi politica è stata drammatica, ed è stata sbloccata con grande fatica dalla nascita di un nuovo governo di unità nazionale che ha permesso al parlamento greco di votare un ennesimo piano di austerità. Nel frattempo, però, l’indignazione della popolazione ellenica è sfociata in una violenta protesta di piazza, con numerosi e gravi episodi di guerriglia, di attacchi contro la polizia, di devastazioni e di incendi di banche e negozi. E pertanto, nonostante l’approvazione da parte dell’Eurogruppo di una nuova tranche di aiuti, che sembrava aver momentaneamente scongiurato il fallimento greco, Standard&Poor’s ha rivisto nuovamente al ribasso il rating greco portando la valutazione a default selettivo (SD) – ultimo passaggio prima del default vero e proprio. Era questa, soprattutto, la risposta dei mercati al negoziato, in dirittura di arrivo, sulla ristrutturazione del debito greco, che penalizzava gli investitori privati (riducendo ad un terzo il valore dei bond ellenici) ma che permetteva di abbassare drasticamente il valore del debito greco.

In questo momento, in cui i mercati sembrano in attesa di capire gli ulteriori sviluppi, e in cui l’ondata di attacchi sull’eurozona è momentaneamente meno forte (anche in seguito alla sottoscrizione dei due nuovi trattati per l’eurozona, il fiscal compact e il nuovo Meccanismo europeo di stabilità), restano la pesantissima situazione dell’economia reale e la grave crisi politica. Non esiste infatti alcun accordo solido tra i partiti politici per far fronte comune alle problematiche della crisi; le forze politiche sono lacerate da un profonda spaccatura che ha portato alla frammentazione del sistema politico, portando il numero dei partiti da cinque a nove (che dovranno essere tutti rappresentati in parlamento dopo le prossime elezioni) ed a un malcontento della popolazione che dichiara di vedere la propria situazione finanziaria peggiorata del 60% in un anno.

In tutto ciò, la grande rilevanza del quadro europeo è evidente, ma lo è anche la sua insufficienza. Nonostante il 14 marzo ci sia stato il via libero definitivo al secondo piano salvaGrecia e ai 130 miliardi di aiuti, la situazione del paese (come quella irlandese e portoghese) continua non solo ad essere drammatica, ma anche a costituire una fonte di contagio per tutta l’eurozona. La debolezza di qualsiasi paese dell’area euro si riversa infatti sull’intero sistema (persino su Francia e Germania, che, nel caso specifico della Grecia, detengono rispettivamente 53 e 34 miliardi del debito sovrano greco: è stato di conseguenza calcolato quanto siano drammaticamente esposte ad un possibile default di Atene): è quindi l’effetto a catena, dato dalla profonda interdipendenza dei membri dell’unione monetaria, che costituisce l’elemento di rischio e fragilità per tutti.

La ragione è principalmente dovuta alla mancanza di una politica economica e fiscale comune all’interno dell’eurozona in grado di attutire le divergenze tra i diversi membri e garantire le risorse necessarie per il sistema nel suo insieme. La crisi greca è dunque, innanzitutto, la catastrofica evidenza del fallimento degli Stati nazionali europei di fronte ad una crisi mondiale. Mai come ora si sente la necessità di un’unione politica ed economica forte e concreta quale quella che potrebbe essere garantita da una federazione europea.

 

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