Questo Trattato lascia un gusto amaro. Non è affatto una semplificazione, perché risulta dall’insieme di diversi testi: un trattato sull’Unione europea relativo alle sue istituzioni, un trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al quale si aggiunge la Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza. E’ un insieme di emendamenti comprensibili solo facendo riferimento ai testi precedenti. Di semplificato non ha che il nome: mentre il progetto di costituzione prevedeva di sostituire i trattati precedenti, questo non fa che aggiungersi ad essi modificandoli.

Le riforme istituzionali

Per quanto riguarda le riforme istituzionali, è stato ripreso l’essenziale di quelle contenute nel Trattato costituzionale, ma al prezzo di disposizioni tali da togliere all’Unione tutto quanto potrebbe darle l’aspetto di uno Stato. Sono state così gravemente compromesse le sue possibilità di affermarsi come entità politica dotata di un’identità distinta da quella degli Stati membri. Gli arretramenti riguardano: l’abbandono del termine “costituzione”, la rinuncia a menzionare i simboli dell’Unione (bandiera, inno), che tuttavia continuano ad esistere, l’abbandono dell’affermazione secondo cui l’euro è la moneta dell’Unione. Una nuova disposizione protegge le competenze degli Stati in politica estera, un’altra permette al Consiglio di richiedere l’abrogazione di leggi dell’Unione. Queste continueranno ad essere indicate con il nome di “direttive”e di “regolamenti”, anziché di “leggi” e “leggiquadro” come previsto dal trattato costituzionale. La Carta dei diritti fondamentali non figura più nel trattato, pur facendovi riferimento. Regno Unito e Polonia hanno ottenuto di non essere vincolati agli obblighi da essa derivanti. Le riforme riguardano la composizione delle istituzioni e le modalità di decisione: qualche modifica al numero dei membri del Parlamento, la soppressione della turnazione semestrale della presidenza e l’istituzione di una presidenza di due anni e mezzo assicurata da una personalità europea (designata dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata del 55% degli Stati e del 65% della popolazione). La Commissione sarà costituita solo da un numero di membri pari ai due terzi degli Stati membri, con una rotazione paritaria tra le nazionalità. Il Presidente della Commissione sarà eletto dal Parlamento dopo le elezioni europee su proposta del Consiglio che dovrà tener conto del risultato elettorale. La portata democratica di queste disposizioni dipenderà dalla capacità dei partiti politici di accordarsi sui propri candidati prima delle elezioni. Uno dei vicePresidenti della Commissione avrà la responsabilità della politica estera e della sicurezza comuni.

Il funzionamento dell’Unione europea

La legislazione dell’Unione europea sarà di norma sottoposta alla codecisione del Consiglio e del Parlamento, mentre la Commissione conserverà il monopolio dell’iniziativa. Rimane la regola dell’unanimità per le decisioni in materia di politica estera, di sicurezza, di difesa, di protezione sociale, di fiscalità. Negli altri campi la regola è quella della maggioranza qualificata, definita come almeno 15 Stati che rappresentino il 55% degli Stati il 65% della popolazione dell’Unione. La minoranza di blocco deve comprendere almeno quattro Stati. Questo metodo di calcolo sarà applicato solo a partire dal 2014, in conseguenza dell’accanimento della Polonia. Inoltre, su richiesta britannica, uno Stato membro contrario ad una decisione presa a maggioranza potrà ottenere che la decisione sia sospesa per un “periodo ragionevole” (dichiarazione detta “di Joannina”, città greca nella quale si è tenuta la riunione del Consiglio in cui è stata adottata). Infine, i britannici hanno ottenuto di non essere vincolati dalle decisioni prese a maggioranza senza il loro accordo in materia di giustizia e di polizia.

Va ancora ricordato che parecchie salvaguardie delle competenze nazionali sono contenute anche nelle dichiarazioni allegate al trattato.

Il rifiuto dell’unione politica

Il trattato mostra per l’ennesima volta i limiti del metodo intergovernativo, che fa prevalere gli interessi particolaristici degli Stati a scapito dell’interesse generale dei cittadini europei. La questione che resta aperta è quella della finalità dell’Unione. E’ quanto mai chiaro che l’Europa non potrà affermarsi sulla scena mondiale, difendervi i propri interessi, contribuire ad un ordine più sicuro e più umano, se non si organizza in un’entità politica dotata di un governo.

Guy Verhofstadt, nel suo bel libro Gli Stati Uniti d’Europa (recentemente premiato come “libro d’Europa”) scriveva nell’aprile 2006 che “in un mondo che va avanti, l’Europa deve smettere di cavillare”. Bisogna infatti prendere coscienza della realtà mondiale se si vuol dar vita a una costruzione europea che risponda alle urgenze del pianeta. Non è privo di interesse soffermarsi a questo proposito sulle conclusioni del Consiglio europeo del 14 dicembre, all’indomani della firma del trattato di Lisbona. E’ stato creato, infatti, sotto la presidenza di Felipe Gonzales, exPrimo ministro spagnolo, un gruppo di riflessione “Orizzonte 20202030”. E’ edificante vederne i compiti. Cito testualmente: “Questo gruppo è invitato a passare in rassegna le questioni e le evoluzioni fondamentali che l’Unione dovrà probabilmente fronteggiare e a studiare le soluzioni necessarie. A tale proposito dovranno essere presi in considerazione, in particolare, il rafforzamento e la modernizzazione del modello europeo, che concilia il successo economico con la solidarietà sociale, l’accrescimento della competitività dell’UE, lo Stato di diritto, lo sviluppo sostenibile come obiettivo fondamentale dell’Unione europea, la stabilità mondiale, l’emigrazione, l’energia e la protezione del clima, oltre che la lotta contro l’insicurezza mondiale, la criminalità internazionale e il terrorismo. Dovrà essere rivolta particolare attenzione ai mezzi per meglio rivolgersi ai cittadini e per rispondere alle loro attese e ai loro bisogni. Il gruppo svolgerà la sua riflessione nel quadro del Trattato di Lisbona. Per questo motivo non discuterà di problemi istituzionali. Tenuto conto della prospettiva di lungo termine nella quale si inserisce, la sua analisi non dovrà neppure consistere dell’esame delle politiche attuali, né riguardare il prossimo quadro finanziario dell’Unione. Nell’ambito dei suoi lavori, il gruppo di riflessione dovrà tener conto delle probabili evoluzioni in Europa, ma anche al di fuori di essa, e in particolare determinare il miglior modo di agire a lungo termine per la stabilità e la prosperità sia dell’Unione, sia della regione che la circonda”. Un vasto programma, dunque, la cui imprecisione e il cui carattere nebuloso permettono fin d’ora di pensare che non sarà altro che un’ulteriore strumento destinato a fare un buco nell’acqua e ad allontanare ancor più i cittadini dall’Unione europea. Non occorre infatti un gruppo di riflessione per svolgere un’analisi impietosa della situazione mondiale e del ruolo che l’Europa dovrebbe svolgervi.

Il contesto internazionale

Dopo la fine della guerra fredda, la situazione mondiale si è completamente trasformata. Sul piano economico, l’Asia, con i propri mezzi, ha spostato il centro di gravità dell’economia. L’Europa, in preda alla mondializzazione e all’invecchiamento della popolazione, non reagisce efficacemente, da cui la sua debole crescita economica e il suo elevato tasso di disoccupazione. L’euro ha certamente protetto le nostre economie da svalutazioni e dall’inflazione, senza tuttavia permettere di instaurare una politica economica europea. In effetti, le decisioni economiche, fiscali e di bilancio restano appannaggio dei ventisette governi.

In politica estera e di difesa gli Stati Uniti hanno rinunciato a sviluppare un rapporto privilegiato con l’Europa, che non rappresenta più, rispetto ai nuovi imperativi strategici del XXI secolo, un fronte decisivo. Lasciando agli Stati Uniti il compito di gestire il mondo, i nostri paesi sono divisi e cercano compromessi tra gli eterogenei interessi degli Stati. L’atteggiamento della Gran Bretagna è sintomatico: pur pretendendo la leadership in materia di cooperazione militare, si oppone alla nascita di un polo europeo ed afferma la propria lealtà verso gli Stati Uniti.

Circa il problema dell’energia, i nostri paesi, dipendenti dal gas russo e dal petrolio del Medio Oriente, non hanno altra proposta che quella di coordinare le loro politiche nazionali attraverso memorandum o politiche di buon vicinato.

Si potrebbero anche ricordare la crisi ambientale o il riscaldamento climatico: ciascuno dà la propria risposta.

Tutti esempi che provano che il trattato di Lisbona non risponde in alcun modo alla realtà attuale, alle attese dei cittadini, alle sfide da raccogliere.

Bisogna al più presto prendere in considerazione una nuova organizzazione dell’Europa.

Una nuova organizzazione dell’Europa

Abbiamo ricordato le numerose nuove sfide con cui siamo confrontati. Per accettarle, l’Europa deve trasformarsi in un progetto politico completo e coerente. A Lisbona l’Europa è affondata nei cavilli, mentre avrebbe dovuto concentrarsi sul compito principale: come svolgere un ruolo importante sulla scena mondiale? L’Europa, pur riconoscendo la specificità e l’identità degli Stati membri, deve fare un salto qualitativo. E’ giunto il tempo della nascita di un federalismo specifico, tipicamente europeo: una vera Federazione di Stati e di cittadini.

Non tutti gli Stati dell’Unione sono d’accodo sulla finalità dell’Europa; Lisbona ne è la più recente dimostrazione. La concezione della Gran Bretagna, della Svezia, della Danimarca, della Polonia, non è la nostra. Non bisogna chiudere gli occhi: certi Stati non vedono nell’Europa altro che un legame di cooperazione economica, o, peggio ancora, una fonte di denaro. Ma qual è lo stato dell’opinione pubblica? La gente non vuole meno Europa, ma un’Europa diversa. Vuole un’Europa forte, che funzioni efficacemente, un’Europa che risponda alle loro inquietudini. Chiede che sia risolto il problema della direzione politica che l’Europa deve prendere. La scelta decisiva consiste nel tranciare l’alternativa tra una semplice zona di libero scambio e una vera Europa politica e quindi necessariamente federale.

L’Europa non può trasformarsi oggi in una Federazione di Stati e di cittadini per la sola buona ragione che molti dei suoi membri non sono disposti ad accettarlo. Ma il passato ci ha dato l’esempio, con la creazione della moneta unica, che solo l’iniziativa di un’avanguardia di Stati pionieri permette di uscire in questi casi dall’impasse.

Con Verhofstadt e molti altri, penso che sia giunto il momento di una nuova Europa che sia quella degli Stati Uniti d’Europa. Questa Federazione di Stati e di cittadini costituirà un’avanguardia, un nucleo duro. Sarà naturalmente aperta a tutti gli Stati membri dell’Unione che desidereranno farne parte. La volontà dei popoli di partecipare o no a questo progetto federale dovrà essere sancita dai cittadini: per una scelta così decisiva si impone un referendum. L’obiettivo non è di realizzare uno Stato plurinazionale, bensì di far nascere una nazione europea pluristatale. Bisogna aggiornare il concetto di Renan, secondo cui la nazione si definisce semplicemente come la volontà di vivere insieme.

Tocca a noi, militanti federalisti europei, rendere pubblico questo dibattito per suscitare reazioni tra i mezzi di comunicazione di massa, tra i parlamentari, tra i partiti politici. A Lisbona l’Europa non è stata salvata: si è semplicemente dotata di un regolamento interno che non va contestato. Resta da compiere l’essenziale: rispondere alla formidabile trasformazione demografica ed economica che ha dato vita agli Stati continentali: Stati Uniti, India, Cina, ecc. Senza l’iniziativa di un gruppo di Stati pionieri, l’Europa perderà il suo appuntamento con la storia.

 

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