L’Europa ha bisogno della Germania tanto quanto la Germania ha bisogno dell’Europa. Gli ultimi vent’anni hanno segnato un profondissimo cambiamento nella storia del popolo tedesco. Tutto è cominciato il 9 novembre del 1989 quando i berlinesi in festa hanno abbattuto il muro che divideva la città e con essa la Germania e l’Europa in due blocchi nemici. Aveva inizio quello che i tedeschi chiamano die Wende, cioè il punto di svolta. La riunificazione ha dato alla Germania nuove prospettive di sviluppo e nuove responsabilità.

In primis la ricostruzione della parte orientale del paese è costata molto sia in termini economici sia di entusiasmo. A partire dal 1989 l’est ha conosciuto uno sviluppo economico eccezionale con una crescita annuale dal 5 all’8% riducendo lo scarto di produttività con l’ovest dal 40 al 70 %. Questa crescita tuttavia è stata possibile solo grazie ad enormi trasferimenti di ricchezza dall’ovest e non ha impedito l’emigrazione di quasi due milioni di tedeschi dell’est. Un esodo maggiore è stato evitato grazie alla decisione di Kohl di uniformare immediatamente i bassi salari dell’est con quelli dell’ovest e di unificare la moneta. La nuova cultura economica ha dato il via alle privatizzazioni e alla conversione dei grandi agglomerati industriali, che ora lasciano spazio alla piccola e media impresa. Ma i problemi rimangono tanti. La deindustrializzazione ha fatto crescere la disoccupazione al 20% nei Länder orientali. I costi della riunificazione, circa 1.500 miliardi di euro, hanno contribuito a rallentare la crescita.

Ma il costo più pesante i tedeschi l’ hanno pagato in termini di entusiasmo. Se i giovani del 1989 gridavano in coro da est e da ovest “Wir sind ein Volk”, oral’euforia ha lasciato il passo, in molti casi, al più banale scetticismo e all’ottusità. Parte dei tedeschi orientali ritiene che gli Ostländer siano diventati una colonia della Germania ovest, dove, invece, ci si lamenta dell’ingratitudine e dell’apatia che regna a est. Anche se le città orientali si sono ammodernate e i servizi sono simili a quelli occidentali, rimangono molti quartieri fatiscenti o abbandonati dalla popolazione trasferitasi a ovest. Un sondaggio del settimanale Der Spiegel sostiene che solo un quarto dei cittadini dell’est è soddisfatto di come funziona la democrazia parlamentare della Germania riunificata e che esiste ancora un muro virtuale fra est e ovest.

Non bisogna tuttavia negare il fatto che la riunificazione, anche se costosa e impegnativa, costituisce un enorme beneficio per la Germania specialmente nel medio e lungo termine. Quando la ricostruzione dell’est sarà completata la Germania potrà consolidare il suo ruolo di maggiore potenza europea. Già ora lo sta facendo. Con i suoi 80 milioni di abitanti, la sua eccellenza industriale e il suo primato di esportazioni (il saldo commerciale è stato di oltre 200 miliardi nel 2006) la Germania è il vero motore dell’economia europea. Non bisogna meravigliarsi se la recente crescita economica nella zona dell’euro è stata possibile solo grazie a una ripresa del gigante tedesco.

Resta ora da comprendere quale ruolo la Germania voglia assumere nello scacchiere europeo e mondiale. Fino all’89 la Bundesrepublik, con la sua straordinaria potenza economica e il suo scarso peso politico è stata una forte sostenitrice dell’ unificazione europea. Non solo il patriottismo frustrato e la sua posizione di confine, ma ancor più una scelta consapevole di civiltà hanno alimentato la sua profonda vocazione europeista e hanno sempre spinto per l’integrazione. Per questo la Germania ha accettato la creazione dell’euro con il conseguente abbandono del marco, che per anni era stato l’unico motivo di orgoglio e di forza per una nazione che si sentiva mutilata. Ma, al tempo stesso, questo passo ha coinciso con la riunificazione, quando i tedeschi, forti del loro nuovo peso, hanno iniziato a riorganizzare le loro strategie in politica economica ed estera. Da una parte, quindi, la Germania ha saldato i suoi rapporti con la Francia rinforzando l’asse franco tedesco come motore dell’integrazione, dall’altro ha iniziato ad allargare la sua sfera di influenza sui paesi orientali a lei più prossimi, dove le imprese tedesche hanno già trovato un mercato ricco di opportunità.

Non è quindi ancora chiaro in quale direzione la Germania possa e voglia sviluppare il suo grande potenziale. Si aprono a tale proposito due strade, già individuate, per altro, nel famoso documento SchäubleLamers presentato al Bundestag nel 1994 in vista della creazione della moneta unica. In quel testo, che indicava nell’euro il passo preliminare per la costruzione di un’Europa federale, si sottolineava come quest’ultima fosse il quadro indispensabile per realizzare la vocazione di una Germania europea. Se questo quadro non fosse stato realizzato, l’alternativa sarebbe stata il ritorno della tentazione di una politica nazionale tedesca, inevitabilmente alimentata dalla ritrovata possibilità di estendere la propria area di influenza ad est.

A tutt’oggi, la previsione contenuta nel documento della CDUCSU, sembra trovare conferma nei fatti. L’Europa non ha fatto il salto federale e la Germania ha ormai da tempo ripreso, a fianco della sua tradizionale politica europea, una politica che si può, a buon diritto, definire nazionalista. Se quindi l’Unione europea, magari un po’ meglio organizzata con il nuovo trattato costituzionale, rimarrà, nella migliore delle ipotesi, quell’ibrido istituzionale che è ancora oggi, a metà tra una confederazione e una federazione, piena di potenzialità, ma priva della volontà di unirsi davvero, allora la Germania non potrà fare altro che proseguire su questa strada: invocare il ruolo che le spetta nel consiglio di sicurezza dell’Onu , cercare di giocare un ruolo, anche se subalterno, nella politica mondiale fatta dalle grande potenze continentali, e consolidare la propria egemonia sulla Mitteleuropa. E’ in effetti questa la prospettiva che si sta delineando, come mostrano le cartine elaborate dal governo tedesco, e accidentalmente rese pubbliche, relative alle “zone di influenza” della Germania: un territorio che si estende dalla Francia alla Polonia attraverso tutta la l’Europa centrale e che, in modo inquietante, ricorda le dimensione del grande Reich hitleriano. E per ora è in questa ottica che sembra muoversi anche Angela Merkel, cancelliere tedesco e ora presidente di turno dell’UE. Gli obiettivi che ha fissato la ripresa della ratifica del trattato costituzionale, il consolidamento dei rapporti economici con gli USA, la stabilizzazione della zona balcanica e del Medio oriente, l’assicurazione dei rifornimenti energetici dalla Russia mirano a consolidare l’Unione a ventisette, all’interno della quale la Germania svolge un ruolo guida, e non vanno nel senso di un rafforzamento politico e federale dell’Europa.

Ora, il punto è che questa prospettiva, per gli europei, coincide con un rapido declino, e per la stessa Germania non comporta altro che il tentativo di ritagliarsi un ruolo sulla scena mondiale che non può essere che secondario. L’altra possibilità che si profila, per la Germania e per l’Europa, consiste nel fare l’ultimo passo decisivo verso la federazione europea. E’ questa una decisione che non spetta solo alla Germania, che pure resta con la Francia al cuore dell’Europa e che con i suoi 80 milioni di abitanti e la sua potenza economica costituisce il punto di forza del progetto europeo, ma anche agli altri Stati fondatori. Se l’allargamento ha paralizzato il processo di integrazione e comportato, di fatto, un ritorno al nazionalismo, solo la costituzione di un nucleo duro di paesi all’avanguardia potrà superare la crisi e realizzare il sogno di una Germania europea, portando al tempo stesso l’Europa a riconquistare un ruolo guida nella politica mondiale.

 

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