MASSIMO D’ALEMA

“Non è più sufficiente dire Europa. Oggi, in una nuova stagione internazionale, carica di incertezze, non basta riferirsi all’Europa. Siamo di fronte a una crisi europea, che nasce anche da un successo, quello dell’allargamento... occorrono scelte coraggiose per la classe dirigente europea ed italiana....

Per questo bisogna guardare oltre il Trattato costituzionale, oltre un compromesso che abbiamo giudicato accettabile, ma limitato...

Il tema che in passato trovò tante resistenze, di una integrazione a più dimensioni e più velocità torna ad imporsi con evidenza… .

E’evidente che non si può parlare di un rinnovato ruolo dell’Europa come attore globale se non vi è un nucleo di paesi che decide di mettere insieme le sue risorse in termini di politica internazionale e di difesa....

Un nuovo governo di centrosinistra dovrebbe impegnarsi seriamente e rendersi partecipe del consolidamento dell’esistente, ma anche proiettarsi su di una iniziativa che non può non avere come promotori i paesi fondatori”.

(In occasione del convegno organizzato dalla Fondazione Italianieuropei, presieduta dall’On. Massimo D’Alema, Roma, 4 maggio 2005)

CARLO AZEGLIO CIAMPI

“L’evoluzione dall’originaria Comunità di sei Stati ad un’Unione a 25 non ha intaccato la validità della visione dei Padri fondatori, ma ha reso più palese la necessità urgente di strumenti di governo adeguati.

I nostri sei Stati costituiscono una combinazione unica di Paesi dalle diverse dimensioni ma con pari diritti che hanno promosso e sperimentato ogni tappa dell’integrazione. Sono depositari degli ideali che l’hanno sospinta in avanti; come tali, hanno una responsabilità aggiuntiva.

La loro memoria storica e la loro esperienza devono continuare a sostenere l’Unione nel suo progresso unitario.

I paesi fondatori hanno spesso operato come autentiche avanguardie: sempre aperte e mai chiuse; questo loro ruolo è un bene prezioso da salvaguardare.

Per avanzare l’Unione avrà bisogno, come per il passato, di essere stimolata da paesi che ne tengano alte la visione e l’identità politica e culturale…

E’questo un dovere particolare proprio degli Stati fondatori che hanno vissuto quest’intera straordinaria esperienza.

Essi debbono risvegliarla in loro stessi e in tutti gli altri membri dell’Unione europea. In questo spirito, e insieme agli altri Stati che ne condividono l’impostazione, è essenziale che i paesi fondatori rinnovino una comune volontà unitaria e una comune capacità progettuale.”

(Dalla lettera che il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha inviato alla Regina dei Paesi Bassi, al Granduca di Lussemburgo, al Re dei Belgi, al Presidente della Repubblica Francese e al Presidente della Repubblica Federale di Germania, Roma, 11 maggio 2005)

CESARE SALVI

“In conclusione, più che nei princìpi e nei valori, il limite profondo di questo Trattato è nella sua architettura istituzionale. Senza un’unanimità estremamente improbabile, non si potranno cambiare le politiche dell’ultimo decennio, che pure si sono rivelate incapaci di assicurare sviluppo sostenibile e occupazione; quelle regole sono invece costituzionalizzate.

E senza un’ulteriore improbabile unanimità non potranno essere adottate politiche innovative dell’Unione per il lavoro e la coesione sociale. Si comprende allora la crescente disaffezione dei cittadini europei per l’Europa, alla quale facevo riferimento all’inizio; il basso tasso di partecipazione, nei venticinque paesi, alle elezioni per il Parlamento europeo dello scorso anno e al recente referendum in Spagna e il serio rischio di un esito negativo dei referendum che si terranno in Francia, nel Regno Unito e in altri paesi lo dimostrano. E di fronte a questo problema non si può far finta di non vedere o dire che sono problemi di altri e non dell’Italia… .

È giusto riproporre allora il tema di un assetto istituzionale che distingua i paesi più omogenei, quelli che si sono dati la comune moneta e possono darsi se lo vogliono istituzioni politiche comuni e federali, e i paesi nostri amici dell’allargamento, con i quali definire un patto di segno più disteso che tenga conto delle ragioni comuni, ma anche delle differenze.”

(Dichiarazione del Sen. Cesare Salvi in occasione dell’astensione al Senato sulla ratifica del Trattato che adotta una costituzione per l’Europa, 7 aprile 2005)

ÉDOUARD BALLADUR

“… . Unità non è sinonimo di uniformità. Per citare Benjamin Constant, l’uniformità è la morte e la diversità la vita. Ora, la diversità dell’Europa è sia un dato di fatto che un metodo.

Questa diversità, ho avuto modo di proporlo circa quindici anni fa, si riconosce costruendo l’Europa dei cerchi concentrici. Questa idea non raccolse allora il successo che ha oggi.

Che cos’è questa Europa dei cerchi concentrici? E’innanzitutto l’Europa della realtà, perché un’Unione europea a Trenta o più, non potrà avanzare tutta allo stesso passo e su tutti i terreni come quando c’era l’Europa dei Sei, dei Nove o dei Dodici, con dei livelli di vita omogenei e degli interessi convergenti.

L’Europa si potrà allora organizzare in modo più pragmatico in tre cerchi. Un cerchio di diritto comune, corrispondente all’Unione attuale, a Venticinque... All’interno di questa Unione di diritto comune dovrà essere realizzato non un nucleo duro, come alcuni immaginano, ma più cerchi di “cooperazione specializzata”, con i paesi che vorranno avanzare in certi settori o progetti.. nei settori della fiscalità, dei diritti sociali, della difesa, della ricerca, dell’industria… Ma se la nostra Europa vuole affermarsi come potenza politica, deve anche stabilire con i propri vicini dei vincoli di partenariato privilegiato: questo costituirebbe il cerchio esterno dell’Unione.”

(Le Figaro, 11 marzo 2005)

LAURENT FABIUS

“Non si tratta di trasformare l’Europa in un jardin à la française, ma se la Francia non propone un progetto europeo ambizioso, chi lo farà? Lo avevo anticipato nel 1996, quando Jacques Chirac ha accelerato il grande allargamento a Est, senza negoziarlo sufficientemente e senza proporre di accompagnarlo con un indispensabile approfondimento delle istituzioni… Bisogna cambiare metodo. A Venticinque o più, cercando di procedere tutti insieme, non si potrà costruire un’Europa all’altezza deIle sfide di fronte alle quali si trova. Il rischio è quello di ridursi ad un po’d’Europa e per giunta debole. Un buon approccio dovrebbe consistere piuttosto nello stabilire delle cooperazioni sempre più strette tra quegli Stati che sono disposti ad instaurarle. Bisogna ritrovare lo spirito di Jean Monnet, lo spirito delle solidarités concrètes.E’ quella che io chiamo l’Europa dei tre cerchi: un primo cerchio intorno alla Francia e alla Germania, che può avanzare speditamente, instaurando un governo economico unico, una armonizzazione fiscale e sociale, un esercito europeo. Questo sarebbe possibile con i partner più vicini alla Francia… L’Unione attuale potrà costituire il secondo cerchio, per progredire a piccoli passi sulla strada dell’integrazione economica, politica e sociale. Infine un terzo cerchio assocerà la periferia dell’Europa, compresa la Turchia, in un partenariato per la pace, la democrazia e lo sviluppo senza confusioni con gli altri livelli di integrazione. Questo è uno sviluppo ambizioso, ma realista, reso difficile da questo progetto di Costituzione. Nessuno pretende che un simile rilancio sia facile. Ma l’Europa si è sempre rafforzata a partire dalle difficoltà, perché sono queste che impongono di cercare nuove soluzioni. Mi dispiace constatare che oggi troppi responsabili politici si dimenticano della storia e prendono a pretesto questa o quella difficoltà per accontentarsi di un compromesso insufficiente. Non c’è peggior servizio da rendere all’ambizione europea di quello di credere che il processo europeo sia un movimento inevitabile verso il meglio che deve essere solo accompagnato nel suo moto per inerzia”.

( Le Figaro, 7 marzo 2005)

KARL LAMERS

“Il prossimo autunno, quando la Germania avrà un nuovo governo, questo dovrà assumersi la responsabilità di aiutare la Francia ad uscire dall’isolamento e dal suo stato di debolezza. A quel punto occorrerà prendere un’iniziativa a livello di Stati membri che si sentono più vicini tra loro, e quindi in primo luogo a livello di Francia e Germania, per creare un’unione più stretta. Una simile iniziativa avrebbe potuto avere un ancoraggio più forte se la Francia avesse votato SI’e degli altri paesi avessero votato NO. Ora il quadro è diverso, ma si può andare avanti nei fatti, concretamente, senza toccare le istituzioni. Il voto francese rende una simile iniziativa ancora più necessaria… Vorrei ricordare che la Comunità europea di difesa, cioè l’idea di un esercito europeo, è fallita a seguito di un voto negativo della Francia nel 1954. Ma ciò ha condotto qualche anno dopo ai Trattati di Roma: anziché sul terreno della difesa, l’Europa è avanzata su quello dell’economia. Perché non dovrebbe essere possibile oggi, nel 2005, intraprendere il cammino inverso, concentrarci suilla prospettiva di una difesa europea per rilanciare il processo di integrazione?”

(Le Figaro, 31 maggio 2005)

 

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