Chi meglio del Presidente della Convenzione può spiegare il significato della “Costituzione europea”? E’ quanto Valéry Giscard d’Estaing ha fatto in una recente intervista a Le Figaro.

In una lunga intervista rilasciata a Le Figaro (2792003) in occasione della presentazione del suo libro sulla “Costituzione europea”, Giscard d’Estaing spiega all’intervistatore il significato del lavoro svolto dalla Convenzione. Vediamone brevemente alcuni passaggi.

L’equilibrio istituzionale – Secondo Giscard d’Estaing la situazione è tale per cui occorre far convivere due sistemi che ormai sono radicati nella società europea: un sistema europeo, che tende all’unificazione, ed uno nazionale, in cui continua a manifestarsi la vita politica e che non vuole rinunciare ad essere la fonte della sovranità. La Convenzione ha dunque semplicemente preso atto che “gli Stati continuano ad esistere e che la sede europea di decisione in ultima istanza è il Consiglio, in cui essi sono rappresentati. La Commissione europea è lo strumento che identifica, propone e, in una certa misura, promuove il bene comune europeo, ma la decisione resta alla fine nelle mani del Consiglio. Quanto al Parlamento, esso legifera. Questo sistema può essere perfezionato, ma deve restare organizzato su questa base. Nessuno d’altra parte propone alcuna alternativa credibile!”

Giscard, come ha fatto più volte nel recente passato, ma non in occasione del dibattito all’Assemblea nazionale francese sulla ratifica del Trattato di Nizza quando aveva chiaramente detto che il problema era quello di fare una federazione nella confederazione, sposa la tesi di chi non vede alternative all’attuale quadro di potere in Europa (come se quello attuale che viene ciecamente difeso fosse credibile!). Infatti si schiera con chi a parole, anche in Francia, predica quotidianamente la necessità dell’Europa, ma nei fatti pretende di vincere le sfide mondiali mantenendo la sovranità del proprio staterello. La verità è che il fatto che non ci siano più alternative credibili in un quadro a Venticinque non esclude la possibilità di tentare in un quadro più ristretto. Ma a Giscard, come agli altri leaders europei (e, purtroppo, addirittura a buona parte dei federalisti europei), in questo momento manca la volontà di percorrere una strada alternativa.

La politica estera – Nell’ammettere che quando si arriva ad un grande numero di Stati membri, è praticamente impossibile far funzionare l’Unione, perché “la discussione è sostituita da una successione di monologhi!”, Giscard non si fa illusioni sulla possibilità di gestire la politica estera in modo diverso da come accade attualmente. A questo proposito fa notare la contraddizione con cui si scontra la proposta di attribuire la politica estera alla Commissione: “E’ totalmente contraddittorio proporre come fa la Commissione di trasferire all’Europa gli strumenti della politica estera. Vuole davvero la Commissione scolpire nel marmo l’equazione: un paese uguale ad un Commissario? In questo caso come si potrebbe legittimare una politica estera europea gestita da un organismo in cui le decisioni sarebbero prese da sei rappresentanti degli Stati iugoslavi contro uno britannico o da tre baltici contro uno svedese?” E più avanti aggiunge: “ La nostra Europa assomiglia a quella degli anni 17801795, quando un governo sosteneva presso un altro governo una posizione che era contraria a quella proposta ad un terzo governo, e quando le alleanze cambiavano continuamente. Bisogna considerare le cose nel modo più semplice: chi può migliorarle ? La politica estera dell’Unione dipende dal presidente del Consiglio europeo perché è in questa sede che si confrontano i Capi di Stato e di Governo, e dal Ministro degli Affari esteri, perché spetterà a lui presiedere il Consiglio dei ministri degli esteri. Nella Costituzione abbiamo messo in moto una dinamica che renderà stabile la loro funzione. Abbiamo cioè cercato di innescare un processo evolutivo. Stiamo attenti a non infrangere questo meccanismo.”

Giscard, quindi, da un lato mette in evidenza le posizioni contraddittorie della Commissione europea, ma cade a sua volta nel ridicolo quando afferma di credere nella dinamica evolutiva di un Consiglio europeo che, per sua stessa ammissione, a Venticinque diventerà un parlatoio.

Il voto a maggioranza – Su questo punto Giscard è perentorio: “Questo problema alimenta numerose domande, ma anche numerose inquietudini. Per esempio sappiamo bene che se tutti i voti in materia di politica agricola fossero a maggioranza qualificata, la politica agricola sarebbe smantellata. Lo Stato e la società francesi sono disposti ad accettarlo? Prendete in considerazione anche la questione dell’eccezione culturale: se si introduce il voto a maggioranza anche in questo campo, nel giro di una giornata non ci sarebbe più salvaguardia dell’eccezione culturale! Bisogna essere coerenti con se stessi: non si può fare del lirismo sul tema dell’abbandono della regola dell’unanimità senza essere coscienti delle conseguenze che ciò avrebbe per gli uni e per gli altri, perché ognuno ha le proprie riserve in questo campo.”

Giscard, quindi, mette a nudo l’ipocrisia di chi usa lo slogan del voto a maggioranza senza preoccuparsi del fatto che sarebbe impossibile usarlo nel quadro attuale senza conseguenze catastrofiche, ma a sua volta cade nell’ipocrisia fingendo che il sistema attuale possa funzionare, visto che non crede nella possibilità dell’alternativa di creare un vero sistema federale, come dimostra il punto successivo.

Il federalismo – Dopo tutte queste dichiarazioni, che testimoniano della sfiducia di Giscard nell’efficacia dell’attuale sistema, per spiegare all’intervistatore perché è stata tolta la parola “federale” dal testo approvato per consenso dalla Convenzione, l’intervistato spiega che “lo abbiamo tolto per ragioni pratiche, perché nelle diverse lingue dell’Unione esso non ha la stessa connotazione: positiva in questo paese e magari negativa in quell’altro! Esso è stato sostituito dal termine “comunitario”, che è esattamente la stessa cosa.. E poi, se il sistema non è federale, le funzioni sono certamente esercitate in modo federale. Quando si ha una Banca centrale indipendente, essa è federale. Quando il Commissario europeo al Commercio va a Cancun a discutere con i rappresentanti dell’OMC, agisce in modo federale. E poi abbiamo tutte le funzioni federali emergenti incarnate dall’euro ! Può anche darsi che un giorno questo federalismo si incarni anche nel dominio della politica di difesa, sotto forma di cooperazione rafforzata. In realtà le differenaze tra queste funzioni federali e il sistema federale degli Stati Uniti non sono considerevoli, salvo che, a differenza del caso americano, il ruolo e l’identità degli Stati sono e resteranno molto più importanti nell’Unione europea, e che il potere sarà meno centralizzato.”

Dunque viviamo già in un sistema federale di fatto, che è solo meno accentrato di quello degli USA, e che può evolvere grazie a qualche cooperazione rafforzata in più. Staremmo dunque già vivendo in una realtà istituzionale con tutte le potenzialità per competere con USA, Cina e Russia in campo internazionale. Peccato che i fatti smentiscano quotidianamente questa pretesa. E la ragione è semplice: l’Unione europea non è uno Stato, mentre gli USA, la Cina e la Russia lo sono. E non è certo facendo finta che non sia più necessario parlare della necessità di fare gli Stati Uniti d’Europa che si doterà l’Unione europea della forza e della capacità di agire sul piano interno ed internazionale.

Il ruolo della Conferenza intergovernativa – Che fare dunque del risultato dei lavori della Convenzione? A questo proposito Giscard constata che “a questo punto, non credo sia utile ridiscutere degli emendamenti che sono già stati presentati alla Convenzione. Che cosa autorizza a pensare che ciò che non è stato adottato per consenso possa essere accettato, domani, all’unanimità ?”

Quindi avanti con questa Costituzione senza Stato nell’illusione che ci sia ancora abbastanza tempo per gli europei per non decidere, e nella speranza di poter vivere altri cinquant’anni di pace e benessere. Eppure Giscard dovrebbe conoscere il rapporto presentato nel 2002 dall’Institut français des relations internationales in cui si propone come primo scenario per lo sviluppo europeo nel prossimo mezzo secolo una “Chronique d’un déclin annoncé”.

 

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