L’ Italia sta attraversando una delle fasi più difficili della sua storia. Fattori strutturali, gravi, di debolezza interna si accompagnano ad un quadro internazionale che vede tutto l’Occidente, e l’Europa in particolare, in grave difficoltà. E’ impensabile pertanto che la soluzione ai problemi del nostro paese possa essere ricercata esclusivamente sul piano nazionale. Viceversa, una delle ragioni che hanno fatto precipitare la situazione italiana è stata la perdita di slancio del processo di unificazione europea, che aveva in larga parte trainato la politica interna del nostro paese sin dagli anni Cinquanta. La stessa ragione di debolezza vale per gli europei, che se oggi sono in difficoltà e in svantaggio rispetto agli stessi americani, oppure ai russi, ai cinesi, agli indiani, ai brasiliani, e in generale rispetto alle nuove potenze emergenti, è perché continuano ad essere divisi.

Si tratta di una divisione che essi hanno invano cercato di superare dopo la fine della seconda guerra mondiale senza però riuscire a sciogliere il nodo cruciale della creazione di una sovranità europea, ossia di uno Stato e di un governo federali. Essi hanno mantenuto in questi decenni un sistema formato da ventisette governi separati e da istituzioni europee deboli, prive dell’autorità che deriva dalla legittimazione espressa dal popolo europeo, che impedisce agli europei di affrontare in modo unitario le sfide continentali e globali di fronte alle quali si trovano.

In questo senso si può parlare per l’Italia sia del Risorgimento incompiuto, sia del fatto che la Resistenza non è ancora finita. Nel primo caso, infatti, si tratta di portare a compimento l’ideale dell’unità nazionale nel quadro di un’Europa unita e solidale, come auspicavano gli artefici del Risorgimento: l’unità europea è infatti l’unico quadro in grado di creare le condizioni per il superamento dei limiti strutturali che caratterizzano l’Italia nella misura in cui resta uno Stato nazionale sovrano e che mantengono debole il legame tra il popolo e lo Stato, arrivando a minare la nostra democrazia. Per quanto riguarda la Resistenza è invece indispensabile ricordare che l’obiettivo ultimo della guerra al nazifascismo, cioè la realizzazione di un’Europa libera e unita, che ha costituito anche il punto di riferimento della ricostruzione economica e politica della società, nonché della solidarietà tra i popoli, non è stato ancora raggiunto. Così, con il passare del tempo, in Italia e in Europa si perde la coscienza che la guerra di liberazione dal nazismo e dal fascismo ha rappresentato la grande occasione storica per porre le basi del superamento della dimensione nazionale degli Stati e della politica di potenza nei rapporti internazionali.

La coscienza dell’inadeguatezza degli Stati europei era radicata e profonda nelle generazioni uscite dalla seconda guerra mondiale. Il Presidente della Repubblica italiana Luigi Einaudi annotava nel 1954: “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza”. Questa coscienza non è però bastata per cogliere l’occasione di portare a compimento l’unità. Ma se nella fase del bipolarismo gli europei hanno potuto approfittare di un quadro internazionale favorevole al processo di integrazione europea, che ha permesso di dilatarne i tempi, è ormai evidente che questa condizione favorevole si è esaurita, e il cambiamento dell’equilibrio mondiale incomincia a riflettersi sulle scelte e sulle vite degli europei. La crisi economicofinanziaria e quella nel Mediterraneo, sono emblematiche. La prima sta mettendo in discussione le prospettive di sopravvivenza dell’euro e dell’Eurozona. La seconda mostra un mondo ed un’Europa senza rotta né timoniere.

L’Italia e l’Europa non eviteranno un destino di declino politico ed economico se nel breve periodo non troveranno le energie morali e politiche, oltre che finanziarie, per rilanciare il progetto politico della Federazione europea. Un progetto che l’Italia deve tornare a riproporre con forza, coinvolgendo innanzitutto quei paesi, come la Francia, la Germania, da cui storicamente è dipeso e continua a dipendere ogni progresso sulla strada dell’unificazione. Un progetto che però non avrà alcuna chance di superare le resistenze e gli interessi nazionali senza una larga partecipazione e mobilitazione popolari a favore dell’unità europea, come accadde nelle fasi cruciali del processo di avanzamento dell’integrazione europea. Per questo è indispensabile mettersi all’opera per costruire uno schieramento di forze che rivendichi l’adozione di soluzioni europee e non nazionali alle sfide di fronte alle quali ci troviamo; che denunci la retorica dei grandi piani e delle politiche che dovrebbero essere europei, ma che restano nazionali in quanto non possono contare su strumenti e risorse autonomi europei; che prema sui governi nazionali e sulle istituzioni europee affinché venga rilanciato il processo costituente federale europeo.

Nel settembre 1943, sull’Unità europea, che da allora è l’organo del Movimento federalista europeo, si potevano leggere queste parole: “In una situazione così oscura è ben difficile orientarsi per dare delle parole d’ordine. Ma da mille indizi sembra che gli indugi siano per aver termine… Non è tempo ora per recriminare su quello che avrebbe dovuto esser fatto e per stabilire le responsabilità. Verrà il momento anche per questo. Quel che importa ora è affrontare i tragici eventi che si presentano inevitabili e saper quel che dobbiamo fare. La nostra liberazione è oggi inscindibilmente connessa alla liberazione di tutta l’Europa: guerra al nazismo!”.

Analogamente, oggi, quel che importa è prendere coscienza del fatto che per gli europei non ci sarà un futuro di progresso e di benessere, né tantomeno alcuna possibilità di condividere con gli altri grandi poli continentali della politica mondiale le responsabilità di far fronte alle sfide globali, senza la Federazione europea.

Dipende solo dagli europei farla davvero.

 

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