Nella sua prima uscita internazionale all’inizio di aprile, il presidente Obama ha affrontato, in una serie di vertici con i leader mondiali, i principali problemi dell’economia e della sicurezza internazionale: nel giro di una settimana ha partecipato al summit del G20 a Londra, all’incontro NATO in Francia e Germania e al Vertice con i Capi di Stato dell’Unione europea ed ha concluso la sua visita in Europa con un importante discorso pubblico al Castello di Praga in cui ha affermato la volontà dell’America di riacquistare il ruolo di leader morale della comunità internazionale promuovendo un nuovo clima di collaborazione generale e prendendosi carico delle sfide che il mondo si trova ad affrontare. Obama ha focalizzato il suo discorso sul tema della sicurezza nucleare, annunciando di voler lavorare per l’eliminazione totale delle armi atomiche e di voler fare di questo programma un elemento centrale della politica estera della sua Amministrazione.
Rendendosi conto che molti avrebbero accolto con scetticismo questa idea e lo avrebbero accusato di ingenuità, Obama ha ammesso che si tratta di un obiettivo di lungo periodo, ma si è anche appellato al “coraggio di coloro che si alzano in piedi e si assumono i rischi” e ha ricordato, ripercorrendo la storia recente della Repubblica Ceca, che “noi siamo qui oggi perché un numero sufficiente di persone ha ignorato la voce di quelli che dicevano loro che il mondo non avrebbe potuto cambiare”.
La prima e più immediata iniziativa del piano di Obama riguarda il rinnovo del Trattato per la Riduzione delle Armi Strategiche (START 1), firmato da USA e URSS nel 1991, che fornisce il quadro legale e tecnico che ha consentito di ridurre in modo sicuro e verificabile gli arsenali dalle circa 60.000 testate durante la guerra fredda, a meno di 20.000, di cui solo 6.000 effettivamente dispiegate. Ma il trattato scadrà il 5 dicembre ed è ormai urgente rinnovarlo. Già nell’accordo di Mosca del 2002 Bush e Putin avevano deciso di ridurre a 1.7002.200 le testate strategiche operative entro la fine del 2012, ma si ritiene che gli USA le abbiano già portate a 2.200 e che il nuovo accordo START possa fissare il limite a 1.500 ciascuno. L’interesse comune a raggiungere un accordo è però ostacolato dai contrasti sulle questioni che riguardano l’Europa dell’Est, come il progetto di difesa missilistica, l’estensione della NATO e il conflitto tra Russia e Georgia.
Obama ha poi promesso “una rapida ratifica ed un aggressivo potenziamento” del Trattato di Bando Totale dei Test nucleari (CTBT), firmato nel 1999, ma che il Senato non ha ratificato. Il problema sollevato dai senatori circa l’impossibilità pratica di verificare il rispetto dei patti da parte dei paesi firmatari, sembra oggi superato tecnicamente grazie alla Comprehensive Test-Ban Treaty Organization di Vienna che ha realizzato una sistema internazionale di monitoraggio delle esplosioni nucleari sufficientemente efficace. Non è però scontato che Obama riesca a convincere in tempi rapidi sia la maggioranza necessaria dei tre quarti di senatori, sia gli Stati che hanno aderito ma non ratificato (hanno ratificato solo Russia, Francia e Gran Bretagna e altri 30 Stati su 176) e soprattutto quelli che non hanno aderito, tra cui India, Pakistan, Nord Corea e Israele.
Venendo poi al Trattato per la Cessazione della Produzione di Materiale Fissile (FMCT), Obama ha annunciato di “cercare un trattato che metta fine in modo verificabile alla produzione di materiale fissile”, capovolgendo la politica di Bush, ostile a controlli sul territorio americano, che aveva impedito alla Conferenza sul Disarmo di Ginevra persino di iniziare i negoziati.
Ma le linee guida della politica estera americana di Obama sono emerse in modo più compiuto quando ha affrontato il tema del Trattato di Non-proliferazione (NPT), che dovrebbe costituire, nella sua visione, il quadro principale in cui operare. Da una parte Obama, chiedendo la collaborazione della comunità internazionale, ammette implicitamente che l’America non può assicurare da sola le “risorse e l’autorità” necessarie; dall’altra, però, si rende conto che fare affidamento sulla sola buona volontà degli Stati porterebbe il mondo, USA compresi, alla catastrofe. Dopo la fine della guerra fredda “con uno strano capovolgimento della storia, il pericolo di una guerra nucleare globale si è ridotto, ma il rischio di un attacco nucleare è cresciuto. Più nazioni hanno acquisito queste armi. I test sono continuati. Il mercato nero di segreti nucleari e materiali nucleari prospera. La tecnologia per costruire una bomba si è diffusa. I terroristi sono determinati a comperare, costruire o rubarne una. I nostri sforzi per contenere questi pericoli sono centrati su un regime globale di non-proliferazione, ma se più persone e nazioni violano le regole, noi potremmo arrivare al punto che l’obiettivo non può essere mantenuto”.
L’importanza ed il merito del discorso di Obama sta quindi non solo nell’aver messo di nuovo al centro della politica internazionale la questione del disarmo nucleare, ma soprattutto nell’aver prospettato un nuovo modo di affrontarla che va oltre la politica dei trattati che impegnano singolarmente gli Stati su questioni specifiche e afferma la necessità di forme stabili ed istituzionalizzate di cooperazione internazionale, che potranno essere istituite soltanto se si instaurerà un nuovo clima internazionale in cui possa prevalere la fiducia tra gli Stati e sia possibile aggregare e mobilitare l’opinione pubblica mondiale attorno a questi progetti.
Tra le nuove iniziative, Obama cita la costituzione di “un nuovo quadro per la cooperazione nucleare civile, compresa la creazione di una banca internazionale del combustibile per fare in modo che gli Stati possano accedere alla tecnologia nucleare senza far aumentare i rischi di proliferazione”. Nel caso in cui qualche paese violi le regole, ci sarà poi bisogno di “una struttura che assicuri che ogni nazione che lo faccia, ne affronti le conseguenze”. Obama annuncia infine “un nuovo sforzo internazionale per mettere in sicurezza tutti i materiali nucleari vulnerabili intorno al mondo entro quattro anni” ed una iniziativa analoga per “smantellare i mercati neri, individuare ed intercettare i materiali in transito ed utilizzare strumenti finanziari per distruggere questo commercio pericoloso”. “Poiché questa minaccia durerà a lungo – continua Obama – noi dobbiamo metterci insieme per convertire iniziative come la Proliferation Security Initiative e la Global Initiative to Combat Nuclear Terrorism in istituzioni internazionali permanenti”.
Il programma di Obama ha radici profonde che possono essere fatte risalire a due articoli, di cui uno intitolato “Un mondo libero da armi nucleari”, pubblicati nel gennaio del 2007 su The Wall Street Journal da George P. Shultz, Henry Kissinger, William J. Perry e Sam Nunn (due ex segretari di Stato, un ex segretario alla difesa ed un ex presidente del Senate Armed Services Committee), in cui sono già presenti molte delle idee richiamate nel discorso di Obama. L’iniziativa ha avuto l’adesione di altri 14 ex segretari di Stato e della difesa e consiglieri per la sicurezza nazionale ed il governo norvegese ha organizzato una conferenza su questo tema nel corso del 2007. La proposta, una evidente sconfessione della politica fallimentare di Bush sulle armi atomiche, è stata poi adottata da Obama che si è spinto durante la campagna elettorale fino a promettere di farne un “elemento centrale” della sua politica estera. Non ci si può quindi sorprendere se già nel primo mese del suo mandato Obama abbia inviato in Russia emissari di alto livello, tra i quali lo stesso Henry Kissinger, per preparare il terreno insieme al presidente Medvedev per una presa di posizione comune, poi firmata a Londra il primo aprile, in cui, trattando delle principali questioni bilaterali ed internazionali, i due presidenti dichiarano con enfasi di voler collaborare all’eliminazione totale delle armi nucleari: è la prima volta nella storia che le due nazioni dichiarano congiuntamente che questo è un loro serio obiettivo operativo.
Sembra dunque che Obama faccia sul serio. Come italiani e come europei possiamo metterci tra gli scettici che, per dirla col presidente americano, pensano che le cose non cambieranno. Alcuni consiglieri di Sarkozy, per esempio, si sono subito mostrati irritati, preoccupati per il destino della force de frappe. In effetti l’Europa resta, nonostante la fine della guerra fredda, l’unica area del mondo che gli USA devono difendere direttamente dispiegando armamenti nucleari. Progettare un mondo senza armi atomiche costringe gli Stati Uniti e l’Europa a riprogettare la difesa del continente. In assenza del deterrente nucleare americano e di uno Stato in Europa delle dimensioni necessarie per far fronte autonomamente alla propria difesa, le tentazioni per la Russia di accrescere ad ovest la propria influenza sarebbero troppo forti – basti pensare a quello che già sta succedendo con gli approvvigionamenti di gas – e gli Stati Uniti potrebbero trovarsi di fronte all’alternativa tra l’avviare un’escalation diretta con una delle maggiori potenze mondiali o abbandonare l’Europa al suo destino.
Se la credibilità del piano di Obama si gioca soprattutto in Europa, non è forse un caso che il presidente americano abbia scelto una capitale europea per il suo storico discorso. Chissà se mentre chiedeva di avere il coraggio di alzarsi e assumersi i rischi di cambiare il mondo, stava pensando proprio a noi Europei?