L’ascesa della Cina come potenza mondiale è stata ampiamente studiata e prevista (Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, 1989). Ma nel momento in cui questa ascesa incomincia concretamente a manifestarsi, essa viene sorprendentemente sottovalutata dagli Stati europei, che ancora vivono nell’illusione di poter giocare un ruolo determinante nella storia del mondo. Lo stesso non accade per gli USA, che seguono con attenzione ogni evoluzione della politica cinese capace di segnalare un mutamento dello status quo dei rapporti internazionali. E’ il caso delle recenti notizie sulla svolta impressa dalla Cina nella sua politica spaziale. Gli USA sono memori del fatto che la conquista dello spazio ha costituito un importante elemento propulsivo dello sviluppo tecnologico e del confronto con l’URSS nella seconda metà del secolo scorso, e sono consapevoli delle ricadute internazionali che avrebbe un successo cinese nell’inviare un equipaggio umano in orbita. L’impresa di Gagarin all’inizio degli anni sessanta e lo sbarco sulla luna pochi anni dopo non rappresentarono infatti solo un grande successo per l’intera umanità, ma sancirono agli occhi del mondo la superiorità di USA e URSS rispetto al resto del mondo.

Recentemente il susseguirsi di viaggi spaziali con uomini di diverse nazionalità ha in qualche modo nascosto il fatto che simili imprese richiedono non solo conoscenze e capacità tecnologiche avanzate, ma anche una politica estera e di difesa adeguate. Oggi solo gli USA e in misura ormai ridotta la Russia mantengono la capacità autonoma di esplorare e sfruttare lo spazio. Nel prossimo futuro anche la Cina sembra essere in grado di fare altrettanto.In sintesi i fatti si possono così riassumere (dalla rivista Spectrum, pag. 42, Dicembre 2001, New York). Nel novembre del 2001 il governo cinese ha pubblicato un libro bianco sul futuro della sua politica spaziale, in cui annuncia l’intenzione di promuovere e sostenere uno sforzo consistente (1.5 miliardi di dollari all’anno) per diventare, entro la fine del decennio, la seconda potenza spaziale dopo gli USA. Già entro i prossimi cinque anni la Cina potrebbe, secondo alcuni esperti, eguagliare il numero di lanci annuali di satelliti dell’Europa (una decina). Ma con obiettivi diversi: mentre quest’ultima continuerà presumibilmente a dedicarsi ad applicazioni di tipo scientifico e commerciale, la Cina si concentrerà sull’invio di astronauti (taikonauti) nello spazio.

L’intenzione di seguire le orme di USA e URSS è palese. Secondo il governo cinese infatti, entro i prossimi vent’anni sarà essenziale sia dal punto di vista militare che dal punto di vista economico disporre di infrastrutture spaziali. Per questo “lo Stato guiderà lo sviluppo delle attività spaziali rafforzando il suo ruolo di supervisione”. L’invio di un equipaggio umano cinese nello spazio è l’obiettivo più ambizioso di un programma tutto teso a rafforzare l’indipendenza della Cina. Vanno in questa direzione il varo del sistema di navigazione satellitare Bei Dou (Stella del Nord) per affrancare la Cina dal sistema di posizionamento globale tuttora monopolizzato dagli USA, e le ricerche nel campo delle armi antisatellite per sottrarsi al controllo del progettato sistema di difesa stellare americano.

Rimangono pochi dubbi sul fatto che la Cina sia in grado di raggiungere questi obiettivi. Gli esperti americani danno per certo che la prossima generazione di vettori cinesi sarà già in grado di mettere in orbita carichi superiori a quelli degli americani (Space Shuttle) e dei russi. Ma vi sono altri elementi che testimoniano della volontà della Cina di acquisire, attraverso il progetto spaziale, il rango di potenza mondiale. Nel 1999 e nel 2001 la Cina ha già messo in orbita attorno alla terra due navicelle spaziali che sono state recuperate con successo a terra. Questo successo è stato colto in tutta al sua portata dagli USA, ben consapevoli del fatto che una simile impresa è impossibile per chi non dispone di una rete di controllo, cioè di una presenza geopolitica, che si estende oltre i confini nazionali. Infatti negli ultimi anni la Cina ha rafforzato la propria rete di controllo della navigazione spaziale con basi in Pakistan, nell’oceano Pacifico, in quello Indiano e, soprattutto, nell’Atlantico meridionale, dove ha concluso un accordo con la Namibia per installare un importante centro di osservazione spaziale. Quest’ultimo episodio ha costituito per gli esperti USA una ulteriore conferma della serietà del progetto spaziale cinese: la Namibia si trova infatti a circa mezza orbita dai mari controllati direttamente da Pechino, una distanza considerata cruciale per assicurare il recupero dei futuri astronauti cinesi rientranti dallo spazio. Questi fatti, unitamente alla ripresa del dialogo fra USA e Cina all’indomani dell’11 settembre, dopo le tensioni seguite alla cattura dell’aereo spia USA proprio nella regione – Hainan destinata ad ospitare la principale base di lancio delle missioni spaziali cinesi, sono un importante segnale di cambiamento nell’equilibrio mondiale.

Di fronte a questi fatti i balbettii europei in campo aerospaziale rappresentano l’ennesima testimonianza dell’assenza di una realtà statuale europea adeguata ad affrontare le sfide attuali. Laddove la Cina sta costruendo i presupposti materiali per preservare la sua sicurezza, il suo ruolo nel mondo e le prospettive di sviluppo del popolo cinese, gli Stati europei insistono nel difendere una sovranità nazionale che li condanna a dipendere sempre più dagli altri e ad imboccare la strada del declino europeo. Per rendere le istituzioni europee legittime ed efficienti occorre, quindi, porre il problema del trasferimento di sovranità dagli Stati all’Europa, cioè porre il problema della nascita dello Stato federale europeo.

Questa situazione di stallo rischia gravemente di trascinare l’Europa sulla via della disgregazione invece che su quella dell’unità; ed è un’ impasse da cui si può uscire solo con un’iniziativa forte che rilanci il progetto della federazione europea. Se il governo italiano avesse la lungimiranza di cogliere la totale coincidenza tra l’interesse nazionale e quello europeo, potrebbe farsene promotore, coagulando il consenso diffuso che esiste a questo proposito all’interno dei paesi fondatori dell’UE e facendo emergere la volontà politica di compiere il salto federale, sapendo che presto anche gli altri paesi seguiranno.

Per la prima volta negli ultimi cinquant’anni, invece, le posizioni del governo italiano sull’Europa, sotto la pressione di una parte dei suoi membri, sono addirittura ambigue, quando non chiaramente euroscettiche, con frequenti e infondate critiche alla moneta unica e ricorrenti richiami all’interesse nazionale e alla piena sovranità del nostro paese, come se fosse possibile perseguire il primo e garantire la seconda al di fuori del processo di unificazione politica dell’Europa. Da qualche tempo il governo italiano si trova così a giocare il ruolo di freno anziché quello di acceleratore del processo. Le dimissioni del Ministro degli Esteri Renato Ruggiero sono state soltanto la manifestazione più clamorosa di un mutamento di tendenza che ormai è in atto da tempo. Ciò significa che il nostro paese rischia di venire emarginato dal processo, con la conseguenza di perdere quel prestigio, accumulato nel corso dei decenni, che gli aveva finora permesso di giocare un ruolo insostituibile di propulsione. Le conseguenze del persistere di questi atteggiamenti sarebbero gravi per l’Europa e catastrofiche per l’Italia.

Per fugare i dubbi suscitati dal governo italiano, dubbi che preoccupano seriamente anche i tradizionali partner europei, non possono bastare perciò professioni generiche di europeismo e il semplice richiamo verbale alla tradizione europeistica dell’Italia. Occorrono chiarezza sulle questioni cruciali e coerenza nei comportamenti, e soprattutto occorrono decisioni coraggiose. Non devono più sussistere ambiguità, come quella del Ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che, interrogato da un giornalista del Financial Times proprio sulla questione cruciale della natura del futuro assetto europeo e sull’alternativa tra trasferimento di sovranità ad una nuova “entità sopranazionale” oppure soltanto trasferimento di poteri e funzioni ad una nuova “area”, rispondeva che il governo italiano sta ancora valutando. E’ tempo, invece, che il governo sciolga l’incertezza. I federalisti, pertanto, chiedono al Presidente Berlusconi di sostenere pubblicamente e senza ambiguità un progetto federale per l’Europa e di operare coerentemente in questo senso in tutte le sedi opportune. Solo perseguendo l’obiettivo dello Stato federale europeo è possibile difendere realmente gli interessi del nostro paese che sono ormai coincidenti con quello europeo.

 

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