Nella giornata di mercoledì 29 gennaio gli italiani hanno assistito a due fatti inquietanti, apparentemente indipendenti l'uno dall'altro, ma in realtà strettamente collegati.
In ordine temporale il primo è stato l'inasprirsi della polemica sul ruolo della magistratura, polemica che ormai si trascina da anni, ma che con l'intervento del Presidente del Consiglio ha compiuto sicuramente un salto di qualità. Il maggiore elemento di preoccupazione risiede proprio nella forma in cui sono state espresse le critiche all'operato dei giudici, il fatto che nel messaggio diffuso più volte da tutte le reti televisive, il capo del governo, presentandosi nella forma tradizionalmente riservata al Presidente della Repubblica in quanto garante della Costituzione e dell'integrità dello Stato, abbia, nella sostanza, negato la validità del principio della separazione dei poteri all'interno del quadro statuale e abbia rivendicato il diritto del capo dell'esecutivo, in quanto "espressione della scelta del popolo sovrano" di sottrarsi al giudizio della magistratura su questioni di ordine penale relative alla sua attività privata negli anni precedenti il suo impegno politico.
Non è qui il caso di fare un'analisi dettagliata dell'anomalia del caso italiano, in cui colpe e responsabilità - incluse certe forzature della magistratura e la mancata regolamentazione da parte del centrosinistra del conflitto di interessi - sono purtroppo distribuite tra più parti. Ma il punto che non si può non richiamare è la preoccupante fragilità della democrazia nel nostro paese e i suoi rischi di degenerazione. E' una fragilità che affonda le proprie radici nella storica debolezza dello Stato italiano e che ha portato l'Italia nel 1922 ad aprire la strada del fascismo in Europa; ed è una fragilità cui il nostro paese ha cercato di opporre, a partire dal secondo dopoguerra, il legame con l'Europa e l'impegno per il processo di unificazione europeo.
Non è un caso che proprio su questo fronte si sia registrato il secondo gravissimo fatto. Il Presidente del Consiglio ha sottoscritto insieme ad altri sette paesi europei (la Spagna, la Gran Bretagna, il Portogallo, la Repubblica Ceca, l'Ungheria, la Polonia e la Danimarca) una dichiarazione di totale e acritico sostegno alle posizioni americane sulla questione irachena, compiendo un atto di irresponsabilità non solo riguardo al problema specifico, ma ancora di più per aver diviso il fronte europeo, differenziandosi volutamente dalle posizioni degli altri paesi fondatori (Francia e Germania in particolare) che avevano elaborato un abbozzo di posizione autonoma rispetto agli USA.
L'Italia rischia così di andare alla deriva. E ciò che deciderà del suo destino sarà proprio la posizione europea, perché non c'è futuro per il nostro paese al di fuori di questo quadro.
Il momento è delicatissimo. Oggi è infatti più che mai evidente l'urgenza di creare un potere autonomo europeo senza il quale i singoli Stati dell'Unione devono accettare decisioni gravissime che non hanno contribuito a prendere; ma è altrettanto evidente che l'iniziativa per creare questo potere è inizialmente pensabile solo in un quadro più ristretto rispetto ai quindici attuali membri dell'Unione, in cui la Gran Bretagna guida la marcia di chi vuole affossare il processo europeo. Questa responsabilità, per ragioni storiche e per il sostegno di cui gode il progetto tra l'opinione pubblica, spetta ai sei paesi fondatori, che devono saper assumere un'iniziativa unitaria, come è stato recentemente richiamato dal Presidente Ciampi, da Amato e da molti altri, incluso il Ministro degli Esteri Frattini. Nel passato, in questo quadro, l'Italia ha saputo giocare un ruolo importante per far avanzare il processo di unificazione; oggi, con la ripresa dell'iniziativa franco-tedesca, la sua capacità di spingere questi due paesi su posizioni realmente federaliste sarebbe ancora più determinante. Per questo un'Italia che rinuncia alle proprie responsabilità europee compromette non solo il proprio futuro, ma anche quello europeo.
La responsabilità di mantenere l'Italia ancorata all'Europa non è solo del governo, ma appartiene a tutta la classe politica e a tutti i cittadini. Quando il futuro di un paese è messo in discussione occorre fare scelte coraggiose. L'unica possibilità per salvare l'Italia è che dal nostro paese parta la battaglia per un'iniziativa da concordare con Francia, Germania e Benelux in vista della creazione del primo nucleo dello Stato federale europeo aperto a tutti i paesi che vorranno aderirvi; è questa l'unica proposta realistica per rendere irreversibile l'unità degli europei. Tutte le forze democratiche devono farsene carico, nella consapevolezza che, se si sgretola il quadro europeo, ogni altra battaglia per far vivere la democrazia nel nostro paese è destinata a fallire.