“Un’altra Europa è possibile”. All’insegna di questo slogan si è svolto a Firenze nei giorni scorsi il meeting dell’European Social Forum, per discutere di pace e di guerra, della globalizzazione e delle possibili alternative, con l’obiettivo sullo sfondo di diventare un “soggetto politico europeo senza diventare un partito”. Normale per i federalisti – si tratta di un atteggiamento costante nella loro storia politica – dialogare con una realtà così ampia e variegata, che oltre tutto, per la prima volta, fa spontaneamente riferimento all’Europa. Il problema che si pone, però, ècome dialogare, e soprattutto quali posizioni andare a sostenere.
Bisogna premettere che il fatto che questo movimento si ispiri ai valori della pace e si mobiliti sui temi della giustizia sociale ed economica lo rende sicuramente una testimonianza morale che nel caso di molte delle sue componenti è di altissimo livello. I suoi limiti politici, però, che sono in buona parte il riflesso della situazione di degrado della politica e soprattutto dello Stato in Europa, sono altrettanto profondi e lo rendono fragile, così come lo sono stati i movimenti per la pace degli anni ’80, scomparsi senza riuscire ad incidere sulla vita politica europea. E proprio i rapporti che il MFE aveva allacciato in quegli anni partecipando all’attività dei Comitati per la pace, sulla base del criterio teorizzato da Albertini “dell’entrata e dell’uscita”, possono costituire un esempio utile anche oggi. Allora i federalisti sfidavano i pacifisti che si mobilitavano contro gli euromissili a fare propria la rivendicazione della difesa europea e della deterrenza europea, battendosi per un potere federale europeo cui affidare l’armamento nucleare franco-ritannico. Oggi, che la situazione europea è molto più matura dal punto di vista dell’integrazione (allora non c’era ancora neanche il progetto Spinelli, non c’era l’Atto unico, la moneta era un progetto ancora fermo alla prima fase dello SME), e che quindi la richiesta di creare il potere federale europeo è molto più realistica, e perciò anche più precisa, impegnativa e vincolante, le posizioni su cui i federalisti dovrebbero confrontarsi con il movimento no global non possono essere altre che: Stato federale europeo, e quindi politica estera e della sicurezza unica europea (che è cosa ben diversa da politica comune, come ci insegna la storia della moneta europea), ed esercito europeo. Contrariamente a quanto valeva per le nostre posizioni di 20 anni fa, che ponevano il problema dell’alternativa europea alla politica militare americana (l’unico problema reale con cui un movimento pacifista in Europa potesse/dovesse confrontarsi), ma che indicavano una soluzione, che pur essendo l’unica seria, non era ancora matura, dato lo stadio del processo europeo e il quadro internazionale, oggi, invece, il problema della creazione dello Stato europeo è maturo, al punto che la sola alternativa alla soluzione federale è il più o meno lento processo di disgregazione e di rinazionalizzazione dell’Unione. La vicinanza dell’obiettivo e la drammaticità della posta in gioco accrescono, quindi, ulteriormente la responsabilità del MFE in questa fase. E’ essenziale allora capire i limiti politici che tutti i movimenti che confluiscono nel Social Forum europeo condividono per cercare di esercitare davvero un’influenza su di loro e per non limitarsi a partecipare alle loro iniziative illudendosi di avere una funzione pedagogica, ma in realtà lasciandosi portare sul loro terreno senza riuscire a far passare nessun nostro messaggio politico chiaro e incisivo. I limiti di questo movimento, al di là delle differenziazioni delle diverse componenti, non hanno nulla a che fare con la degenerazione nella violenza che, per il momento, riguarda solo frange marginali e che, qualora diventasse un problema più diffuso, non sarebbe altro che un effetto, una conseguenza della frustrazione derivante dall’aver continuato a perseguire ed agitare obiettivi irrealistici. Il vero limite di questo “movimento dei movimenti”, come di quello dei movimenti sviluppatisi negli anni sessanta, settanta e ottanta, è ancora una volta riconducibile, in ultima analisi, al suo rifiuto di confrontarsi davvero con il problema del potere. In ciò il movimento di questi anni non si comporta in modo molto diverso dal proverbiale cieco che cerca di guidare altri ciechi (gli Stati nazionali, l’Unione europea, l’ONU).
Il compito specifico dei federalisti dovrebbe essere proprio quello di mostrare come e perché nessuna delle istituzioni nazionali ed internazionali esistenti è oggi in grado di dare il minimo contributo al perseguimento della pace e della giustizia nel mondo. Gli Stati europei – l’unica di queste istituzioni che risponde ai cittadini – possono solo fare qualche danno in più, agitandosi con zelo eccessivo per servire meglio gli USA, ma il loro contributo positivo non può andare oltre una ridicola (e forse dal generale americano anche auspicata) “non partecipazione” ad un’eventuale guerra, oppure ad uno pseudo-sostegno alle operazioni di “pace” decise dagli Stati Uniti. L’Unione europea è la somma di 15 impotenze. Essa non esiste come soggetto politico, non rende conto del suo operato ai cittadini perché è solo un insieme di Stati sovrani, e non è pensabile che “evolva” in soggetto politico europeo democratico e legittimato dai cittadini (che vorrebbe dire uno Stato dotato di sovranità) perché la maggioranza dei suoi membri – maggioranza destinata ad aumentare con l’allargamento – non lo vuole. L’ONU, e il discorso vale a maggior ragione per le altre organizzazioni internazionali, è semplicemente la sede della concertazione internazionale. Parlarne come un soggetto autonomo non ha senso. L’ONU fa quello che i suoi Stati membri (del Consiglio di Sicurezza per la precisione) decidono di fare, riflettendo al suo interno gli equilibri di potere internazionali. E se questi equilibri, come in questa fase, vedono gli Stati Uniti come potenza egemone, l’ONU finirà con il fare sempre la politica degli Stati Uniti, finché gli altri Stati non avranno la forza di contrapporsi alla politica americana.
Il problema non consiste dunque, come invece ritengono i movimenti che aderiscono al Social Forum, nel cercare di riformare gli Stati nazionali, l’Unione europea o l’ONU, né nel chiedere loro di perseguire politiche di pace e di progresso che non sono in grado di promuovere; il problema è quello di creare un nuovo potere, lo Stato federale europeo, partendo da un primo nucleo di paesi in cui esistono le condizioni per farlo, al fine di modificare gli equilibri mondiali e di far nascere un soggetto politico capace di realizzare le politiche più eque e di pacificazione che i cittadini chiedono. Senza una chiara consapevolezza di questo obiettivo si rimane fermi, ancora una volta, alla propaganda della buona volontà.
Resta da chiarire cosa significa cercare di portare questi movimenti sul terreno della battaglia per lo Stato federale europeo. Se nel confronto con questi movimenti non si dice con chiarezza cosa significa, in questa Unione a 15 e presto a 25, fare dell’Europa un soggetto politico, se non li si sfida ad uscire dalle contraddizioni in cui cadono con la fuga in avanti verso le organizzazioni internazionali, se si evita di porre le richieste precise (Stato federale, politica estera e di sicurezza europea unica, esercito europeo) per paura che non siano accettate immediatamente da tutti, allora, su questa base, si lascia che il messaggio federalista si confonda con quello dell’europeismo delle istituzioni dell’Unione, e si rinuncia a svolgere quel ruolo che il MFE ha sempre cercato di svolgere nella società europea. Non basta limitarsi a ricordare il ruolo che potrebbe svolgere l’Europa nel mondo, per quanto sia giusto e utile farlo, perché questo ormai è un dato praticamente acquisito da tutti; anzi, la grande novità è proprio questa, il fatto che il ruolo potenziale dell’Europa sia diventato ormai patrimonio comune. Ma per trasformare questo enorme potenziale di mobilitazione in un elemento di vera consapevolezza e quindi in un fattore trainante per la creazione di un’Europa federale bisogna confrontarsi con queste forze sul terreno della strategia per creare lo Stato federale europeo e del quadro all’interno del quale è possibile rivendicare l’iniziativa per arrivarvi.
Al contrario, insistere sull’ipotetico ruolo della Convenzione europea nel modificare il quadro esistente e fare delle concessioni demagogiche all’esercizio della democrazia diretta (come la richiesta di un referendum europeo nel 2004), non aiuta a mettere in evidenza i nodi da sciogliere per portare sul terreno della costruzione del nuovo potere questi movimenti. Ma questo è invece quanto ha fatto il MFE a Firenze: un’occasione mancata.