A quindici mesi dall’avvio dell’azione per lo Stato federale europeo, imperniata sulla cartolina-appello rivolta ai Capi di Stato e di governo dei Paesi Fondatori, è oggi possibile un primo bilancio politico e organizzativo del lavoro svolto, con il pensiero rivolto al prossimo futuro. Infatti, eventi degli ultimi mesi quali la crisi irachena (o meglio, la sua conseguenza più eclatante: la crisi tra Europa e Stati Uniti e all’interno dell’Europa stessa) e l’imminente conclusione dei lavori della Convenzione, permettono ora di collocare nella giusta luce quella strategia e le analisi che la sostengono, meglio ancora di quanto si potesse fare quell’11 marzo 2002 quando, con un Convegno presso la Società Umanitaria di Milano, fu lanciata l’azione per lo Stato federale europeo.

Da quel giorno, diverse e numerose sono state le iniziative in Italia, con qualche appendice europea promosse dai federalisti che in quelle analisi e in quelle parole d’ordine si riconoscono.

Innanzitutto ci sono state le raccolte di firme in piazza. Grazie ad azioni volanti o tramite azioni più strutturate, talvolta reiterate nel tempo, decine di migliaia di cartoline-appello sono state fatte sottoscrivere dai cittadini a Milano, Novara, Ferrara, Chiavari, Vigevano, Pavia, Piacenza, Brescia, Desenzano, Stradella, Monza, Como, Bellagio, Gorizia, e – fuori d’Italia – a Francoforte sul Meno.

L’appello ai Sei è stato fatto proprio e votato da alcune decine di consigli comunali, in Emilia e in Lombardia, e presentato a numerosi altri, anche in Francia e in Germania.

Il confronto con la classe politica si è realizzato a tutto campo e a diversi livelli: lettere aperte sono state inviate al Presidente Chirac, a Berlusconi, a Schroeder, a Verhofstadt. In seguito i federalisti hanno incontrato i consoli di Francia e Germania a Milano e l’Ambasciatore del Belgio. A costoro è stata illustrata la nostra azione e sono state consegnate parte delle cartoline firmate, indirizzate ai rispettivi governi. Si sono avviate corrispondenze con personalità politiche europee (Lamassoure, Balladur, ecc.). Sono stati promossi convegni e tavole rotonde, a più voci o bilaterali, con personalità politiche – membri del Governo, rappresentanti dell’opposizione, esponenti delle istituzioni europee. Pubblici incontri con rappresentanti della classe politica locale e con parlamentari, nazionali ed europei, si sono svolti a Milano, Francoforte e in altre città. Tutti questi eventi sono stati contornati da una quantità di interventi di militanti (spesso accompagnati dalla raccolta di firme in calce alla cartolina) in occasione di dibattiti sulle questioni europee promossi a livello locale o regionale (nazionale, nel caso dell’ANPI) da sezioni di partito, organizzazioni sindacali e d’imprenditori, circoli di cultura, parrocchie e associazioni varie, ai quali i federalisti sono stati invitati. Inoltre, per tutti questi mesi, sono periodicamente circolate presso un pubblico di politici, opinionisti e semplici cittadini, La lettera europea e il nuovo giornale L’Alternativa Europea, che rispecchia le convinzioni e le analisi di chi sostiene questa azione.

Tutto questo lavoro già oggi non sembra essere stato fatto invano. Al di là di tutte le reazioni e gli apprezzamenti che le parole d’ordine e gli argomenti di questa campagna hanno provocato nei suoi molteplici interlocutori, resta il fatto che negli ultimi mesi, in Italia e fuori, sempre più numerosi stanno diventando coloro che – evocando la responsabilità storica e politica dei Paesi fondatori – ne auspicano l’iniziativa per un più serio e più spedito processo di unificazione. Quello di cui nessuno parlava prima di questo inverno sembra ormai quasi una litania, dalla Francia all’Italia, dal Belgio alla Germania. Ma ancora nessuno dice per quale reale obiettivo i Paesi fondatori dovrebbero prendere un’iniziativa, e con quali conseguenze. O meglio, nessuno pensa o ha il coraggio di porre come obiettivo – nemmeno per i Sei (o i Cinque) – la cessione di sovranità, la creazione di un potere europeo, di uno Stato europeo. Questo è ancora più vero – e l’obiettivo ancora più necessario – dopo l’esito (coerente con le sue premesse) della Convenzione, e alla luce della totale inconsistenza dell’Unione, e dei suoi membri, che le diverse crisi internazionali mettono in sempre più cruda evidenza.

Pertanto, sulla base del lavoro fin qui svolto, delle reazioni volta a volta suscitate, dei risultati parziali ottenuti (e con così pochi mezzi!), ci sembra di poter dire che analisi, strategia e modalità d’azione per cercare di influenzare gli orientamenti e le decisioni di politici e governi, si siano rivelate quelle giuste. Si tratta, quindi – davanti alla sempre maggiore evidenza della divisione e della debolezza dell’Europa e della pochezza delle proposte per uscire da questa impasse – di continuare su questa strada con rinnovata incisività e con i necessari adattamenti, mettendo tutti questi strumenti a disposizione dell’intero MFE e dell’UEF, cercando di estendere e diffondere sempre di più questa azione, in un contesto in cui ancora tutti tacciono sull’unica questione essenziale e decisiva: l’urgenza dell’iniziativa di un’avanguardia di paesi, al di là dell’Unione e dei Trattati, per avviare il processo di fondazione dello Stato europeo.

 

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