Ad Amsterdam nel 1997, a Nizza nel 2000 e infine due volte a Bruxelles quest’anno, pochi mesi fa con la convenzione europea presieduta da Valéry Giscard d’Estaing e oggi con la Conferenza intergovernativa, l’Unione europea dei Quindici e dei Venticinque ha mostrato di non essere in alcun modo in grado di portare a termine il progetto di unificazione politica avviato negli anni Cinquanta da Francia, Germania, Benelux e Italia.

Ad ogni fallimento si è imputata la colpa a chi manifestamente ha giocato un ruolo al ribasso o, come nel caso attuale di Spagna e Polonia, ha preso caparbiamente la via della difesa degli interessi e dell’orgoglio nazionale.

In realtà la vera responsabilità dei fallimenti va imputata a chi maggiormente avrebbe dovuto e dovrebbe sentire su di sé l’onere di portare a compimento il cammino verso l’unione intrapreso 50 anni fa, e cioè ai paesi fondatori. Al contrario, essi, di fronte all’ennesimo insuccesso, non hanno saputo fare altro che o unirsi al coro di coloro i quali si sono dispiaciuti del mancato compromesso in seno alla famiglia europea, o compiacersi di vuoti proclami a favore dello sviluppo e della politica estera e di difesa comuni, o evocare la necessità di rilanciare le cooperazioni rafforzate in gruppi ristretti di paesi, senza affrontare il nodo del centro di decisione, ossia del potere sovrano che quelle politiche dovrebbe mettere in atto.

I governi, i partiti politici, le forze sociali e i cittadini dei paesi che avviarono il processo di unificazione europea dovrebbero attentamente meditare su quanto Luigi Einaudi scrisse nel 1954: “Nella vita delle nazioni di solito l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile. La necessità di unificare l’Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’esistere uniti e lo scomparire. Le esitazioni e le discordie degli Stati italiani della fine del quattrocento costarono agli italiani la perdita dell’indipendenza lungo tre secoli” (Sul tempo della ratifica della C.E.D., 1 Marzo 1954).

Se Francia, Germania, Benelux e Italia vogliono davvero che l’Europa ritorni padrona del proprio destino, devono avere il coraggio di rinunciare alla sovranità nazionale per dar vita a un potere europeo sovrano, responsabile della politica economica, della politica estera e della difesa. Attraverso un Patto federale essi devono stabilire tra di loro un vincolo irrevocabile, affidando a una Assemblea costituente il compito di elaborare la Costituzione del nuovo Stato federale europeo aperto a chi vorrà aderirvi. Non percorrere questa strada condannerebbe inevitabilmente questi Stati ed i rispettivi popoli al declino e alla dipendenza, trascinando verso questo tragico destino l’Europa intera.

Milano 13 Dicembre 2003

 

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