Se un giorno ci sarà lo Stato federale europeo, gli storici del futuro nel raccontarne la nascita dovranno probabilmente indicare come fattori determinanti quelli che qui tenterò di individuare. E dovranno anche parlare della straordinaria rapidità con cui sarà avvenuto, probabilmente, il passaggio di sovranità. Insisto sul “probabilmente”: nessuno conosce il futuro; e tuttavia ci sono, nel passato e nel presente europeo, elementi che autorizzano a individuare con elevato grado di probabilità i fattori atti a provocare il salto federale e anche a ipotizzare le sue modalità di attuazione. È compito dei federalisti tentare queste due analisi (quali fattori, quali modalità) per una corretta strategia.
Non perderanno tempo, gli storici del futuro, a commentare il fatto che tutto sarà partito da un nucleo iniziale: nessuno infatti potrà pensare che fosse praticabile un’altra strada, come nessuno può pensarlo ragionevolmente oggi. Importante sarà invece per loro individuare lo scenario, i fattori che resero possibile quel gesto iniziale di rottura, consentendo a un manipolo di Stati di sfidare enormi resistenze interne ed esterne e di superare anche il dettato dei trattati esistenti. Con ogni verosimiglianza, quei fattori saranno fondamentalmente quattro. Primo, una situazione di emergenza in cui l’unità politica sarà apparsa come la risposta a problemi drammatici. Secondo, una leadership politica all’altezza della sfida. Terzo, un vasto consenso popolare sulla gravità della situazione: insomma, un quadro in cui chi avrà avuto il coraggio di indicare la soluzione nella fondazione dello Stato europeo avrà tirato facilmente dalla sua tutti, o quasi tutti, convogliando maggioranze e opposizioni sul nuovo atto fondatore. Quarto fattore, meno visibile ma non secondario: un terreno preparato da chi avrà indicato per tempo, con chiarezza, insistenza e senza ambiguità, la strada del nucleo come l’unica percorribile, e avrà individuato l’area in cui proporlo, i paesi che più di altri andavano richiamati alle loro responsabilità: compito specifico, questo, dei federalisti. Notiamo che questo quarto fattore è legato al secondo e lo prepara, diffondendo per tempo le idee che al momento opportuno una leadership coraggiosa e lungimirante potrà far proprie. Come è sempre avvenuto finora nel percorso dell’integrazione.
Diranno anche, quegli storici, che alcune “finestre di opportunità” s’erano già aperte in precedenza, e non solo al tempo della CED, ma erano andate perdute perché non erano presenti sul campo tutti quei fattori. Una di quelle occasioni perdute verrà forse indicata nella crisi irachena, con le imponenti manifestazioni svoltesi in molti paesi europei contro la guerra angloamericana con il tentativo di quattro dei paesi fondatori di farsi interpreti del movimento popolare cercando una posizione di autonomia europea. In quelle manifestazioni Eugenio Scalfari ha visto “la nascita del popolo europeo” (La Repubblica, 16 febbraio 2003) e Jurgen Habermas scrive: “La contemporaneità di queste gigantesche dimostrazioni – le più grandi dalla fine della seconda guerra mondiale – potrebbe essere indicata retrospettivamente nei libri di storia come il segnale della nascita di un’opinione pubblica europea” (La Repubblica, 4 giugno). In quella crisi si sono dunque manifestati due dei quattro fattori suindicati: una grave emergenza che ha mostrato drammaticamente l’impotenza degli Stati nazionali; e un movimento popolare che ha espresso un bisogno d’Europa, d’una Europa indipendente e responsabile. Sono mancati invece lucidità e coraggio nella classe politica dei quattro che, anziché decidere in proprio e farsi promotori di un’avanguardia federale, hanno ripiegato sulla Convenzione (e con proposte assai modeste). Cito ancora Scalfari che giudica “incomprensibile” la condotta di Chirac il quale per coerenza avrebbe dovuto scegliere “un conferimento di sovranità dello Stato nazionale ai nuovi organi della costituenda unione politica” (La Repubblica, 1 giugno). Ma, riconosciamolo, è mancato anche il ruolo dei federalisti, che non avevano ancora promosso con sufficiente ampiezza, in particolare in Francia e Germania, la campagna per il nucleo federale: così la soluzione “giusta” della crisi non era sul campo, non era presente all’opinione pubblica e alla classe politica.
Immaginiamo che un giorno quei quattro fattori siano tutti sul campo e si faccia il salto federale: quali ne saranno le modalità, le fasi di attuazione? Il passaggio dalla sovranità nazionale a quella europea sarà probabilmente assai rapido per molte evidenti necessità: a) dare immediata risposta a una situazione di emergenza e crisi che, in quanto tale, chiede prontezza e tempestività; b) sfruttare e coagulare il momento favorevole del consenso popolare; c) spiazzare a priori sia le resistenze esterne di altri Stati, sia quelle interne dei propri apparati, senza dar loro il tempo di reagire; d) evitare nel passaggio di consegne i gravi pericoli di un vuoto di potere. Per tutti questi motivi nelle nostre riflessioni abbiamo ipotizzato questi passaggi: innanzitutto, un atto politico di chi avrà in quel momento le redini del comando, con la sigla di un “patto federale” in cui saranno indicati i poteri da gestire a livello federale; e subito due grossi fatti concreti: la convocazione di una costituente con il mandato vincolante di dare lineamenti e strutture al nuovo Stato e l’insediamento di un organo provvisorio di governo, che raggrupperà i vari leaders dell’operazione e concentrerà in sé i poteri necessari ad affrontare l’emergenza e la transizione. “Le grandi unificazioni – scrive lucidamente Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 7 giugno) si fanno di slancio dopo aver affrontato insieme, di comune accordo, una grande prova. È questo, è solo questo, che fornisce il cemento morale di cui le unificazioni politiche hanno bisogno.”