Dopo che la Gran Bretagna aveva perso le sue colonie ameri cane, Walpole fece la previsione che il suo paese sarebbe diventa to “a miserable little island, as insignificant as Denmark or Sardinia”. Si trattava di una previ- sione storica di lungo periodo, perché dal punto di vista politico la Gran Bretagna doveva ancora vivere un secolo di espansione e di egemonia. Oggi alcuni “declinists” americani vedono che la supremazia americana non può durare in eterno, ma tutto som mato sanno che gli europei sono messi peggio di loro. D’altra parte in Europa molti – fra questi il Pre sidente Chirac ed il Ministro Fischer – prevedono la nascita di un mondo multipolare in cui gli USA non potranno più giocare un ruolo egemone, ma collocano que sto mutamento in un tempo così indefinito da farlo uscire dal qua dro di una lotta per il potere che invece, fuori dall’Europa, è già in atto. Il recente rapporto dell’Institut français de relations interna tionales sulle prospettive di decli no dell’Europa entro il 2050, è un’ulteriore testimonianza della consapevolezza, almeno in alcu ni ambienti,   dei rischi di emarginazione che ormai corrono gli europei.

Il fatto è che quello che anco ra non emerge nel dibattito politi co europeo, anche fra i più aperti sostenitori dell’avvento di un mon do multipolare, è la consapevolez za che “polo significa potere e po tere significa Stato” (vedi Lettera europea n. 29). Solo nella misura in cui si farà strada una simile con sapevolezza gli europei potranno prendere coscienza della neces sità di battersi per lo Stato fede rale europeo. Non si tratta di un salto da poco, perché pone il pro blema di trasferire sul terreno eu ropeo una voglia di esistere che finora si è manifestata in Europa solo a livello nazionale. Si tratta nientemeno che di vincere sul pia no europeo quella sfida che velleitariamente de Gaulle aveva cercato di rilanciare sul piano na zionale dopo la seconda guerra- mondiale, quando aveva afferma to che “L’essentiel, pour jouer un rôle international, c’est d’exister par soimême, en soimême, chez soi” (Dakar, 13/12/1959). Nessu no Stato nazionale europeo ha più questi requisiti e l’Unione europea, anche alla luce del suo allarga mento senza alcun significativo

approfondimento negli ultimi dieci anni, non li potrà mai avere. Come uscire da questa impasse?

I fatti dimostrano che l’Unione europea a venticinque è ormai destinata a diventare un quadro di riferimento più per una battaglia internazionalista che federalista. Se così è, chi si batte per la nascita di un mondo multipolare e per uno sbocco federale del processo di unificazione europea dovrà quindi: a) concentrare la sua azione in un quadro più ristretto di quello dei Molti, e più precisamente in quello dei Paesi fondatori e b) tenere presente che l’integrazione europea non potrà più contare sulla benevolenza americana.

Rispetto all’epoca della nascita della prima Comunità europea occorre infatti tener presente che il rafforzamento economico e militare di un polo europeo non rientra più negli obiettivi strategici degli USA, come hanno ben mostrato le vicende che hanno preceduto e seguito la guerra all’Iraq. Il documento sulle priorità strategiche dell’America e il recente dibattito al Senato USA in occasione dell’approvazione del bilancio per il capitolo della politica estera (2930 aprile), lasciano pochi dubbi in proposito. Come non può lasciare dubbi il dibattito sulla prospettiva di spostare l’asse della Nato da Bruxelles-Francoforte verso Est sull’asse Varsavia-Costanza, considerato ormai più adatto alle nuove esigenze strategiche.

La consapevolezza dell’importanza di questo mutamento nella politica americana stenta ad emergere nella classe politica europea e non va per il momento al di là di iniziative simboliche, come il vertice sulla difesa del 29 aprile tra Belgio, Francia, Germania e Lussemburgo.

I Quattro, a differenza della Convenzione, non dovendo fare i conti con coloro i quali – Gran Bretagna, Spagna, Italia, Polonia – non volevano neppure sentir parlare di iniziative che potessero in qualche modo irritare gli americani, avevano cercato di affrontare in termini più concreti alcune questioni di fondo del tipo: è necessario uno stato maggiore europeo? Come si finanzia l’industria militare comune? Come si gestiscono gli acquisti di armamenti prodotti in Europa? Questioni non nuove nel dibattito europeo, ma di cui è praticamente impossibile trattare a Quindici, e addirittura impensabile a Venticinque, se è vero, come ha ammesso il premier belga Verhofstadt, che i germi di questa iniziativa risalivano addirittura al 2002. Arrivati al dunque, non avendo ancora una volta affrontato il nodo di fondo, quello della fondazione di un nuovo Stato, le risposte dei Quattro sono state inadeguate. Lo prova il fatto che il vertice di Bruxelles del 29 aprile si è pronunciato per la creazione di un ‘’nucleo di capacità collettiva’’ militare europea, ma non di uno stato maggiore europeo, come aveva chiesto il Belgio, in grado di condurre operazioni autonome dalla Nato, entro il 2004. Come non è sicuramente casuale che il vertice non abbia specificato come i Quattro intendano reperire i mezzi finanziari necessari per sostenere una difesa autonoma europea (la Germania ha per esempio congelato il bilancio per la difesa fino al 2006) e la ricerca in campo militare. In questo modo è evidente che non si attuerà alcuna cooperazione rafforzata in campo militare, neanche nell’ambito di un gruppo ristretto di paesi, ma si resterà nel quadro di ulteriori limitate azioni – neanche di politiche – comuni ristrette. Stando così le cose, Tony Blair ha avuto buon gioco nel pronosticare che “le proposte avanzate a Bruxelles non hanno neanche l’ombra di una possibilità di essere messe in pratica”. Del resto il trattato di Maastricht (1992), stabiliva già che gli Stati membri dovessero appoggiare “attivamente e senza riserve” la politica estera e di sicurezza dell’Unione “in uno spirito di lealtà e solidarietà reciproca”: aria fritta, alla luce di quanto è accaduto negli ultimi anni nei Balcani, in Africa, in Asia e in Medio Oriente.

Nella fase del processo di unificazione europea che stiamo vivendo la volontà di fare lo Stato europeo dovrà quindi necessariamente essere sorretta anche dalla convinzione che l’Europa dovrà essere fatta senza poter più contare né sul sostegno USA, né su di un benign neglect di questi. Ma una simile convinzione non potrà emergere e radicarsi in qualche paese senza che i federalisti, o almeno alcuni gruppi fra essi, non incomincino ad impegnarsi su questo terreno.

 

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