Il testo approvato il 16 Maggio dal Parlamento europeo "sulle competenze dell'Unione in un quadro costituzionale" ribadisce la richiesta di una Costituzione europea e "auspica" di aggiungere alle competenze proprie dell'Unione quella della politica estera e di difesa comuni ed il finanziamento del bilancio dell'Unione. Sembra dunque fatta: il Parlamento europeo chiede di compiere dei passi decisivi sulla strada della federazione europea e il fronte federalista può finalmente contare su di un alleato fondamentale. Ma è davvero così?
A questo proposito si possono fare tre brevi considerazioni.
1. Il quadro di riferimento del Parlamento europeo resta l'Unione (attuale o allargata che sia). Il Parlamento europeo non si pone dunque il problema di indicare in quale contesto in sostanza come e con chi sarebbe possibile l'attribuzione della competenza esclusiva della politica estera e di difesa a livello sovranazionale. Così facendo il Parlamento rinuncia a svolgere qualsiasi ruolo di iniziativa e di pressione politica, limitandosi ad un esercizio accademico.
2. La risoluzione indica dei fini, ma non i mezzi per raggiungerli. La ripartizione delle competenze viene presentata come un'evoluzione del modello comunitario. Da qui il carattere contraddittorio della risoluzione, che prefigura un'entità che dovrebbe avere a livello internazionale i caratteri della statualità rappresentanza, politica estera e di difesa mantenendo le peculiarità della Comunità per i propri cittadini.
3. Per quanto riguarda l'evoluzione dell'intero sistema comunitario verso la nuova ripartizione di competenze, la risoluzione del Parlamento europeo prevede una clausola "evolutiva", che si richiama alla procedura prevista dall'art. 308 del Trattato (ex art.235), sui poteri impliciti della Comunità. Una procedura che lascia al Consiglio, con voto all'unanimità, il potere ultimo di decidere.
Con questi limiti, quali ricadute può dunque avere una simile iniziativa?
I dubbi aumentano quando leggendo il contributo che Alain Lamassoure, membro del Parlamento europeo e della Convenzione e principale ispiratore della risoluzione in questione, ha inoltrato alla Convenzione stessa per spiegare la "solution novatrice" proposta dal Parlamento europeo. Nel suo contributo Lamassoure suggerisce di affrontare il problema dell'attribuzione delle competenze in materia di politica estera e di difesa all'Unione seguendo il cosiddetto metodo Maastricht: fissando l'obiettivo, precisando le condizioni politiche e tecniche per la sua realizzazione, stabilendo un calendario. In particolare Lamassoure indica tre fasi: la separazione tra strumenti diplomatici e comunitari, attraverso la distinzione tra Consiglio di politica estera e della sicurezza e Consiglio affari generali, entro il 2004; l'armonizzazione delle politiche attraverso l'adozione di una "Dichiarazione di pace al mondo" che renda credibile il ruolo di "potenza d'equilibrio, di giustizia e di pace" dell'Europa, entro il 2007; l'affermazione dell'Unione come "unità di destino" con l'attribuzione al livello europeo della politica estera, tra il 2009 e il 2012.
Ma qual è il presupposto su cui si dovrebbe basare un simile progetto? Rivelandolo, Lamassoure ne mette in luce la rpincipale contraddizione: "Elle (la troisième phase) suppose que, parallèlement, la future constitution dotera l'Union d'une véritable autorité politique spécifique (Président ou Gouvernment de l'Union), distincte du collège des dirigeants nationaux, mais ayant la même légitimité démocratique et soumis à un même type de responsabilité politique qu'eux. A défaut, il ne serait pas possible d'aller au-delà de ce qui est décrit dans la deuxième phase". Come creare questa autorità? In quale quadro? Come conciliare un'autorità politica europea con le stesse responsabilità e legittimità di quelle nazionali? Queste domande restano senza risposta nel contributo di Lamassoure, che pone sì delle giuste esigenze, ma non giunge ad isolare il nocciolo del problema, limitandosi a constatare che senza un vero potere europeo in sostanza tutto resterà così com'è.
Eppure il 29 gennaio del 2000, in occasione di una tavola rotonda con i federalisti europei a Parigi, lo stesso Alain Lamassoure aveva ammesso la necessità per gli europei ed i federalisti in particolare Lamassoure resta sicuramente uno dei leaders politici più sensibili agli obiettivi federalisti - di affrontare il problema della coesistenza di un'avanguardia di paesi, politicamente più unita, in un'Unione europea confederale. A conferma della validità di questa preoccupazione, qualche mese dopo il Ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer aveva pubblicamente espresso i suoi dubbi sulla possibilità di riformare l'Unione a 15 in senso federale. Successivamente, in occasione del dibattito sulla ratifica del Trattato di Nizza da parte dell'Assemblea Nazionale francese, si era espresso nello stesso senso anche Valery Giscard d'Estaing, che oggi presiede la Convenzione europea.
Oggi, solo tra i federalisti europei questa problematica viene ancora tenuta viva. Fino a quando le preoccupazioni di Lamassoure e di Fischer di due anni fa non saranno riprese seriamente in considerazione dalla classe politica, a partire dagli stessi Lamassoure, Fischer, Giscard d'Estaing e dai sei paesi fondatori, difficilmente il dibattito uscirà dall'impasse in cui si trova.
Come fondare la federazione nella confederazione? Come suscitare un vero dibattito su questo terreno? A chi spetta l'iniziativa? Queste sono le domande alle quali bisogna rispondere per incominciare a dare un senso al dibattito sul futuro dell'Europa.