Credo che nessun federalista possa avere dubbi sul fatto che la riforma proposta da Blair per dare ad un ex-primo ministro la presidenza del Consiglio europeo per cinque anni sia un tentativo di suggellare definitivamente la struttura confederale dell'Unione, dando l'illusione che questa Europa dei 15, e dei 27 o 30 a breve, possa funzionare grazie all'autorità personale di qualche leader. Quello che colpisce, però, non è ovviamente il fatto che Blair si faccia promotore di una simile iniziativa, ma piuttosto che un'idea così insensata, in cui ambizione personale e volontà anti-europea (se per Europa si intende ancora il progetto originario dell'unità politica) si fondono abilmente, venga accolta e presa in considerazione anche dagli europeisti come una possibilità di migliorare l'assetto istituzionale dell'Unione.
La confusione che regna in questo momento sul tema delle riforme necessarie per rendere l'Europa un "soggetto politico", cioè un organismo più efficiente e capace di agire (e magari anche più democratico), è massima. Tendenzialmente si imputa all'Unione l'incapacità di agire che è invece degli Stati (i quali nel quadro dell'Unione litigano per difendere i loro piccoli interessi nazionali) e si pensa di poter risolvere il problema dando più "autorità" all'Europa, cosa che in questa fase di decadenza della vita politica e democratica significa cercare di identificare un leader che rappresenti all'esterno l'Unione e che si imponga in qualche modo all'interno. Tutto ciò ignorando, in buona o cattiva fede, che il problema cruciale è quello del passaggio della sovranità dagli Stati all'Europa, passaggio senza il quale nessuna riforma può funzionare, né l'Unione può diventare un soggetto politico.
E' per questo che, senza chiarire questo punto essenziale, qualsiasi intervento nell'attuale dibattito sulla riforma dell'Unione è destinato solo ad alimentare l'ambiguità. Questo vale sia per le proposte di trasformare la Commissione nel vero governo dell'Europa responsabile di fronte al Parlamento europeo, sia per quelle che chiedono l'abolizione del diritto di veto come per quelle che auspicano la codecisione legislativa tra Parlamento e Consiglio europeo, per non parlare di quelle che si limitano a chiedere l'attribuzione di competenze, incluse la politica estera e di difesa, all'Unione. Non perché in astratto queste proposte non siano corrette, ma perché non identificano il nodo da sciogliere affinché queste riforme possano essere approvate e funzionare realmente; non dicono, cioè, che devono essere il frutto di un atto di volontà politica con cui si pongono le basi della statualità europea e con cui quindi si instaura il rapporto diretto tra cittadini e governo federale europeo da cui dipende la capacità di quest'ultimo di assumere impegni sia interni che esterni e di mantenerli. Questa è l'unico modo per rendere l'Unione democratica e capace di agire come soggetto politico. Senza questa specificazione, qualsiasi richiesta, inclusa quella dell'elaborazione della Costituzione europea, viene svuotata del suo valore federale e trasformata in un elaborato marchingegno istituzionale in cui si cercano di coniugare "governo europeo" e mantenimento delle sovranità nazionali, ricorrendo, tanto per citare un esempio che fa anche Amato, al modello di un esecutivo europeo bicefalo in cui i poteri relativi alla politica estera e alla difesa vanno al Consiglio europeo, e quindi restano agli Stati, e le competenze della politica economica, della giustizia e dell'ordine pubblico vengono affidate alla Commissione europea che però, e questo nessuno lo dice, è destinata a rimanere l'organo sostanzialmente burocratico ed impotente che è attualmente, proprio perché non si scioglie il nodo della sovranità.
Per alcuni tra coloro che partecipano al dibattito europeo il fatto di limitarsi a proposte istituzionali senza affrontare il cuore del problema politico è il risultato dell'illusione che si possa costruire la Federazione europea di nascosto, senza che gli Stati se ne accorgano; per altri è un preciso disegno per respingere la scelta sovranazionale, per molti è solo un segno di grande confusione. E' per questo che il ruolo del MFE dovrebbe essere proprio quello di smascherare questa ambiguità e di portare nel dibattito l'elemento di chiarezza mancante, per preparare il terreno e per far maturare la scelta federale. E' chiaro che all'inizio (è quanto sta gia accedendo nell'esperienza di chi sta dialogando con la classe politica sulla base dell'appello "Sì allo Stato federale europeo") si trovano consensi, ma si costringono anche dei nemici a venire allo scoperto. Ma la cosa essenziale è che senza questo nostro intervento, oggi come in tutti i momenti importanti del passato, nessuno, e sottolineo nessuno, dice la cosa giusta e indica il punto cruciale; e quindi senza il nostro intervento la cosa giusta e il punto cruciale non esistono, non rientrano nella categoria delle opzioni sul terreno.
Il rischio più grave che corre oggi l'Europa, mentre si affanna nel tentativo di rafforzarsi ripudiando al tempo stesso l'ispirazione sopranazionale originaria, è quello di scivolare inconsapevolmente verso la disgregazione fino al punto di non ritorno. E' per questo che, al di là del diverso giudizio che si può dare sulla Convenzione, ritengo che il Movimento si debba impegnare in un'azione chiara e incisiva, di cui un esempio mi pare possa essere quella dell'appello ai sei paesi fondatori per lo Stato federale europeo, per far vivere e tenere sul campo la vera alternativa federalista.

 

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