Il 6 settembre, in occasione di un intervento alla Fondazione Pellicani di Venezia, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha tenuto un lungo e importante discorso sul tema “Unione politica ed europeizzazione della politica”. Si tratta di un intervento che, per la crucialità del tema che tratta, merita, in modo particolare, di essere ripreso e meditato.
La questione affrontata è quella della crisi della politica, vista sia come conseguenza del fatto di averla mantenuta confinata nel quadro nazionale, sia come causa dell’attuale impasse della costruzione europea. “E’ nel complesso dell’Europa quale oggi ci si presenta, che la politica è in affanno, che la politica – direi – naviga a vista: perché le vecchie mappe risultano, sempre di più, inservibili, e le nuove restano ancora lontane dal giungere a un disegno compiuto. Il punto cruciale è che in un continente interconnesso come non mai – dall’economia al diritto – la politica è rimasta nazionale. Ed è questo un fattore fondamentale di crisi della costruzione europea, e nello stesso tempo di crisi della politica. Le nuove mappe della politica non possono non abbracciare l’Europa nel suo insieme”.
Le “vicende convulse che per effetto della crisi” si stanno verificando nell’ Eurozona, da un lato hanno fatto sì che crescesse la coscienza dell’ effetto catastrofico causato da un’eventuale disgregazione dell’Unione europea, e quindi si potesse tornare a parlare di unione politica dell’Europa, dall’altro hanno anche iniziato a far emergere le problematiche che non si sono volute affrontare dopo la nascita dell’euro: “Il trasferimento alle istituzioni comunitarie delle sovranità nazionali in quel settore cruciale, e alla neo-istituita Banca centrale europea della gestione effettiva della politica monetaria, avrebbe dovuto essere rapidamente coronato da passi decisi sulla via della definizione e della rigorosa osservanza di regole e discipline condivise in materia di politiche di bilancio; e sulla via di un efficace governo dell’economia, per garantire avvicinamento e convergenza – anziché squilibri crescenti – tra i processi di sviluppo dei paesi della zona euro”. Tutto ciò avrebbe dovuto comportare “il superamento di riluttanze e rigidità sul tema delle competenza da riservare ancora agli Stati nazionali”; invece si è scelto di escludere ogni “ulteriore spostamento al livello europeo”. In questo modo l’Unione europea si è trovata “impreparata a fare i conti con l‘impatto della crisi finanziaria globale e con le ricadute di quest’ultima sulla crescita e sulla coesione dell’Europa a 17 – l’Eurozona – e a 27 – la totalità degli Stati membri – pagando il prezzo di insufficienze e ritardi assai gravi”.
La reazione che è seguita ha, effettivamente, impresso un brusco cambiamento di rotta, trasferendo a livello europeo “impegni e vincoli su materie rimaste, ancora col Trattato di Lisbona, riservate alle competenze e alle scelte degli Stati nazionali”. Ma lo ha potuto fare, per mancanza di strumenti politici europei efficaci, solo per via intergovernativa, via che ha portato ad una crescente integrazione di fatto (ne è un chiaro esempio il cosiddetto fiscal compact) “ma entro un orizzonte ancora ristretto, e soprattutto al di fuori di un processo di rafforzamento democratico e di esplicita e conseguente evoluzione istituzionale dell’Unione”.
Cosi facendo però, sottolinea il Presidente, si è fatto in modo che tali decisioni assunte a livello intergovernativo venissero sentite dalla società civile quali obblighi imposti con il sacrificio di procedure democratiche. Pertanto, “Il profondo disorientamento che ne è scaturito, il diffondersi – anche attraverso movimenti politico-elettorali di stampo populista – di posizioni di rigetto dell’euro e dell’integrazione europea, il radicarsi – tra gli investitori e gli operatori di mercato su scala globale – della sfiducia nella sostenibilità della moneta unica e della stessa Unione, possono superarsi perseguendo decisamente, e non solo a parole, la prospettiva di una Unione politica di natura federale. Prospettiva nella quale sciogliere le ambiguità dello scontro sul tema della sovranità, e dare risposte nuove al problema della democrazia nella vita e nel futuro dell’Unione. E questa prospettiva deve nascere da un ampio moto di partecipazione e da un processo di trasformazione della politica.”
Napolitano riesce dunque a mettere bene in evidenza il vero problema dell’ attuale assetto europeo: quello della democraticità del processo di formazione delle decisioni dell’Unione. Oggi “la necessità di delegare funzioni sempre più significative, già proprie della sovranità nazionale alle istituzioni dell’Unione succedute a quelle della Comunità, si è fatta cogente e ineludibile”; ma con l’attuale assetto istituzionale dell’Unione la conseguenza è stata che “l’asse del potere di decisione si è spostato, dalle istituzioni comunitarie sovranazionali – Commissione e Parlamento – verso i capi di governo, verso il Consiglio europeo e il suo nucleo più forte. Ne ha sofferto anche il ruolo dei Parlamenti nazionali”. La soluzione può solo essere ricercata nella trasformazione dell’Unione in “una forma federale multi-livello”, che, “sul piano istituzionale e politico, si nutrirebbe di solidarietà, di sussidiarietà, di confronto e cooperazione tra istituzioni sovranazionali, nazionali, regionali e locali, fatto salvo il potere decisionale supremo riservato alle istanze europee nella definizione e nell’attuazione dell’interesse comune. In questo quadro, una particolare importanza assumerebbe, per il suo potenziale democratico, la componente parlamentare, comprendente insieme il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali, che senza sovrapporsi nell’esercizio delle loro distinte funzioni, condividerebbero l’esercizio del potere costituente nell’Unione, concorrerebbero a garantire il rapporto tra elettori ed eletti nel vasto territorio europeo, e collaborerebbero in molteplici campi e modi concreti”.
E tuttavia non finisce qui, e cioè sul terreno della possibile e necessaria ulteriore evoluzione istituzionale, il discorso di un’Europa democratica. Quella che manca è anche una dialettica politica finalmente europea, con le sue sedi, le sue forme di espressione, le sue forze protagoniste. “E’ mancata in questi anni , oltre ad una dialettica europea, la costituzione di una sfera pubblica europea”; ed è proprio a questo proposito che viene lanciato un deciso monito ai partiti nazionali: ”Da chi avrebbero dovuto venire, da diversi anni a questa parte e specie più di recente, le reazioni a simili disorientamenti e mistificazioni? Da chi avrebbe dovuto venire un energico e convincente rilancio del progetto europeo, in termini non retorici ma anche autocritici e soprattutto innovativi? Da chi, se non dalle leadership politiche, rappresentanti le forze maggiori operanti nei paesi dell’Unione, dai partiti e dai loro gruppi dirigenti?”. I partiti politici hanno creduto che il processo di costruzione europea di concludesse da sé e si sono limitati a seguire piuttosto che assumere un ruolo di guida, continuando così a perdere progressivamente autorità.
Per fermare questo processo di disgregazione e per rispondere finalmente alle sfide in campo europeo, riacquistando così la capacità di guardare al futuro, i partiti europei sono chiamati ad europeizzarsi. Citando Mario Albertini, il Capo dello Stato, evidenzia come sia obiettivo primario e “punto di non ritorno” l’unione politica e la contestuale creazione di un potere europeo per il quale lottino i partiti. Nell’ottica di riacquistare credibilità e centralità all’interno delle istituzioni europee, il Presidente, auspica che già con le elezioni del Parlamento europeo del 2014 si attui una “procedura elettorale uniforme” che consenta lo scambio di candidature e la presentazione di capilista unici nei diversi paesi da parte dei grandi partiti europei, nonché l’identificazione tra la figura del Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione, che dovrebbe essere eletto direttamente dai cittadini in concomitanza con le elezioni parlamentari.
La lezione che Napolitano rivolge alla politica è esemplare. Identificando le cause strutturali della crisi dei partiti e al tempo stesso la loro responsabilità per una rinascita della democrazia, che non può che partire dall’impegno per l’unione politica dell’Europa, evidenzia una questione cruciale del processo europeo in corso. C’è solo un punto che, forse, andrebbe ulteriormente chiarito. Con quella frase, Albertini (“il punto di non ritorno non potrà che essere propriamente politico. È il momento in cui la lotta politica diviene europea, in cui l’oggetto per il quale lottano uomini e partiti sarà il potere europeo”) pone come chiave di volta del progetto europeo il nodo politico: è solo con la creazione di un’unione politica che si può parlare di un reale “potere” europeo per il quale concorreranno i partiti. La costituzione del “potere europeo” viene quindi a configurarsi quale presupposto allo sviluppo di partiti europei. Più propriamente si può affermare che, per loro natura, i partiti saranno portati ad “europeizzarsi” solo nel momento in cui sentiranno di essere in lotta per il potere europeo. E’ quindi proprio la mancanza di tale potere ad avere bloccato la loro evoluzione e ad averli confinati nel quadro nazionale.
Senza dubbio, oggi, in una fase ormai così avanzata e decisiva del processo di formazione di un potere politico europeo, i partiti sono chiamati a diventare protagonisti della “rivoluzione europea”; e, infatti, qualora i maggiori partiti presenti nel Parlamento europeo decidessero di “europeizzarsi”, il ruolo che giocherebbero nel portare a termine il processo di costruzione europea sarebbe fondamentale. Essi, infatti, sono gli unici diretti rappresentanti dei cittadini europei e sono i soli che possono veramente colmare, nella sostanza, il deficit democratico dell’ attuale unione europea.
D’altra parte ci si scontra ancora con la mancanza di un potere europeo, mancanza che rende sicuramente più lento e difficile un processo di “europeizzazione” nell’ attuale contesto europeo, in cui gli schieramenti chiamati a confrontarsi sanno di non poter dar vita ad un governo europeo indipendente in grado di attuare la linea programmatica scelta dagli elettori.
È necessario pertanto essere consapevoli che le due battaglie, quella per l’Europa federale e quella per la nascita dei partiti europei, devono procedere parallelamente per poter davvero avviare la nascita di una vera democrazia europea sovranazionale; e i partiti devono capire che devono impegnarsi al massimo su entrambi i fronti.