Si tratta dell’articolo che Mario Albertini ha scritto nel maggio del 1966 per la rivista Le fédéraliste. Albertini fu tra i pochi, e con lui il MFE, ad opporsi con forza all’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato comune, consapevole degli effetti che questo avrebbe avuto sul processo di unificazione europea. In questo scritto, pensato in un momento in cui de Gaulle sembrava aprirsi all’ipotesi che Londra entrasse nella Comunità e rivolto agli europeisti che si illudevano che la Gran Bretagna avrebbe rafforzato il progetto europeo, Albertini delinea, con un’analisi che anticipa con straordinaria preveggenza l’evoluzione futura della Comunità, il significato di un eventuale allargamento del Mercato comune.
Con l’eccezione dei negoziati per l’adesione al Mercato comune, interrotti dal veto di de Gaulle, la questione dell’ingresso della Gran Bretagna in Europa è sempre stata una questione puramente accademica. Tuttavia, malgrado il veto gollista e nonostante la Gran Bretagna si trovi fuori dall’Europa perché ha scelto ella stessa, ancorché invitata a farlo, di non partecipare, ci sono uomini politici che hanno continuato a nutrire la speranza di trascinarla nel Mercato comune in funzione anti-golllista. In realtà era un’illusione. Il fatto che i governi e i partiti dei Cinque sostenessero l’ingresso della Gran Bretagna in Europa non aveva un significato reale. Si trattava di parole, non di fatti. Ad ogni modo, nel giro di poco tempo la situazione è cambiata. De Gaulle ha ritirato il proprio veto, almeno formalmente, e in Gran Bretagna si è formata di nuovo una forte corrente a favore dell’adesione al Mercato comune. Il governo laburista si dichiara pronto ad entrare e nelle capitali interessate sono già in corso sondaggi ufficiali. La prima questione da chiarire è dunque la seguente: de Gaulle è davvero disposto ad accettare la Gran Bretagna?
Probabilmente sì. Benché a malincuore, de Gaulle vuole l’integrazione economica ed in particolare quella agricola, perché sa che la Francia diventerebbe improvvisamente impotente se si ripiegasse economicamente su se stessa. Ma egli vuole evitare a tutti i costi le conseguenze politiche dell’integrazione economica. Orbene, nel quadro dei Sei questa posizione diventa insostenibile. La comunità economica, giunta ormai praticamente alla fine del periodo transitorio, non può non trasformarsi in comunità politica. L’unica possibilità che rimane a de Gaulle è quindi quella di mantenere lo stadio attuale di integrazione barattando l’ingresso della Gran Bretagna con l’integrazione federale. Gli ostacoli che prima gli sbarravano questa strada sono caduti: ha promosso la force de frappe, è uscito dalla NATO, ha consolidato la sua politica estera, si è fatto riconoscere il diritto di veto in seno al Consiglio dei ministri della Comunità, e, per quanto riguarda l’agricoltura, può trattare ormai a partire dalla solida base del Mercato agricolo comune.
Chiarita questa questione, la seconda si pone in termini concreti: cosa può significare l’ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea? In sintesi, quanto segue.
- L’ingresso, con la Gran Bretagna, di altri sei Stati. A Londra si parla esplicitamente dell’Europa dei Tredici: i sei paesi della Comunità europea più i sette dell’Associazione europea di libero scambio (EFTA). In effetti, non si potrà accettare la Gran Bretagna e rifiutare, per esempio, la Danimarca; né si può pensare che la Gran Bretagna discrimini gli altri membri dell’EFTA in base ai pregiudizi. Dunque un’Europa a Tredici che comprende due Stai neutrali, l’Austria e la Svizzera, e uno Stato fascista, il Portogallo.
- La distruzione della possibilità di fondare un primo nucleo federale europeo che, dopo l’occasione perduta della CED, si presenta di nuovo nel quadro dei Sei con la fine del periodo transitorio del Mercato comune. in altri termini, la rinuncia a d estirpare il nazionalismo.
- La diluizione dell’integrazione economica in uno spazio troppo vasto perché possa svilupparsi in profondità e troppo eterogeneo per poter dar luogo, al proprio interno, alla nascita di un potere politico democratico. Come conseguenza, il predominio delle grandi concentrazioni industriali, di dimensioni europea ed atlantica, sui governi europei, di dimensione nazionale.
- La dimostrazione del fatto che il governo nazionalista francese, pur essendo fuori dalla NATO, può migliorare, e non peggiorare, i suoi rapporti con la Gran Bretagna e gli altri paesi europei. In altri termini, consolidamento del gollismo, irreversibilità della crisi della NATO, fine dei progetti di Associazione atlantica e, in generale, un grado debole o nullo di integrazione militare e politica per il prossimo ciclo della politica internazionale.
- Un peso decisamente superiore, rispetto al passato recente, del punto di riferimento nazionale per quanto riguarda la difesa e la politica estera, vale a dire una situazione che, unita alla subordinazione dei governi ai cartelli capitalisti internazionali, aprirà la porta sia ai micro-nazionalismi frutto della ripresa dell’Europa sia al nazionalismo tedesco. Due impulsi molto forti alimenteranno quest’ultimo: quello della domanda di partecipare alle decisioni nucleari atlantiche – che in una situazione militarmente poco integrata non ha che un unico sbocco: il riarmo nucleare tedesco – e quello della priorità dell’unità tedesca sull’unità europea. E’ necessario rendersi conto che questi due impulsi, apparentemente opposti, si rafforzano, in realtà, a vicenda. D’altra parte, il vuoto di potere costituito dalla neutralizzazione, totale o parziale, del secondo Stato industriale del mondo è impensabile. La Germania può accettare certe forme di limitazione diplomatiche per ottenere l’unità, ma non esiste nessuna forza che possa mantenerla a lungo in questa posizione subalterna.
- L’umiliazione della democrazia e del socialismo.
Ciò detto, non si tratta di prendere posizione contro la Gran Bretagna. Si tratta di prendere posizione per la federazione nel quadro dei Sei e per raggiungere un’intesa la più profonda possibile, tra la Federazione e la Gran Bretagna, in attesa del suo vero ingresso in Europa, vale a dire nella Federazione. E si tratta soprattutto di capire che la partita contro de Gaulle si vince nell’Europa a Sei, si perde nell’Europa a Tredici.