Dopo il cambio di governo in Spagna e il riavvicinamento di que sto paese alla “Vecchia Europa”, l’approvazione da parte del Con siglio europeo della cosiddetta co stituzione europea sembra ormai scontata. Il testo elaborato dalla Convenzione è stato rivisto, e ver rà ancora ulteriormente ritoccato per trovare un accordo che soddi sfi tutti i paesi membri, nei punti istituzionali più delicati (sistema di voto a maggioranza, composi zione della Commissione, mate rie su cui è possibile votare a mag gioranza qualificata, regolamenta zione delle cooperazioni struttu rate in materia di difesa e molti altri punti ancora), ma il consen so sulla necessità di approvarlo velocemente si è ormai afferma to, sia tra i sostenitori di una mag giore integrazione che tra i fautori dell’inviolabilità del principio della sovranità nazionale – prima fra tut te la Gran Bretagna, che ha sa puto lavorare con abilità per otte nere un testo che soddisfacesse i suoi interessi.
Se, esaminando la nuova pro posta di Trattato, è facile capire perché è sostenuta dai governi euroscettici più navigati, quelli che sanno giocare con astuzia le pro prie carte a livello europeo, più difficile è invece capire le ragioni del sostegno a questo testo da parte delle forze politiche che di cono di auspicare un’Europa for te ed unita, capace di far sentire la propria voce nel mondo e di far si portatrice di un modello di svi luppo più giusto ed ecososteni bile. Queste ultime – prigioniere della retorica costituzionale che ha accompagnato l’elaborazione del nuovo Trattato, anche se questo testo niente ha a che vedere con una vera Costituzione che impli ca l’esistenza o la nascita di uno Stato – si illudono che, una volta entrato in vigore (cosa che, per in ciso, non è previsto che avvenga prima del 2009) il nuovo testo con sentirà al quadro europeo di evolvere più rapidamente e di usci re dall’impasse in cui si trova. Le loro illusioni si fondano sulla spe ranza di sfruttare l’istituto delle co operazioni rafforzate (e in partico lare le cooperazioni strutturate nel campo della difesa) per costitui re, nel rispetto dei Trattati esisten ti, e quindi con il consenso di tutti i paesi membri, uno o più gruppi di avanguardia che facciano avanzare il processo di integrazione almeno in alcuni campi.
In realtà si tratta di speranze mal riposte e di illusioni pericolose, che non rispondono in alcun modo ai problemi reali di fronte ai quali si trova l’Europa e che non consentono né di risolvere le contraddizioni che paralizzano l’Unione, né tanto meno di farla progredire nel cammino indicato dai Padri fondatori in direzione della Federazione europea.
Dove conducono, infatti, le cooperazioni rafforzate? Non certo ad un consolidamento dell’Unione nel suo insieme, né a creare un gruppo omogeneo fortemente integrato che possa sfociare in un’unione politica. Le cooperazioni rafforzate sono pensate infatti come un mezzo per permettere la collaborazione tra Stati sovrani che vogliono riservarsi il diritto di decidere in quali settori, in base ai propri interessi nazionali, sia più proficuo lavorare insieme ad altri paesi con interessi analoghi. Esse sono il tentativo impossibile, da un lato, di conciliare l’esigenza di rafforzare l’integrazione in settori chiave che mettono in gioco la sovranità – come la politica estera e la difesa – con il mantenimento del potere degli Stati; e dall’altro di far nascere un nucleo, un’avanguardia, ma con il consenso di tutti gli Stati membri – che sono in gran parte contrari a qualsiasi ipotesi di approfondimento dell’integrazione – per non rompere il quadro istituzionale esistente. Il risultato è l’ennesimo escamotage con cui si tenta – invece di fare il salto federale – di legittimare agli occhi dei cittadini, che vedono la necessità di dare risposte europee a problemi che diventano sempre più drammatici, il metodo intergovernativo; si cerca, cioè, di dare una legittimità giuridica al processo di rinazionalizzazione ormai in corso in Europa e ci si illude – e si illude l’opinione pubblica – di poter così fermare la disgregazione in atto. In realtà le cooperazioni rafforzate forniscono il quadro giuridico per l’applicazione illimitata del principio secondo il quale i rapporti tra gli Stati membri devono restare rapporti di potere, assecondando ora la tentazione degli Stati più grandi di creare un blocco in grado di imporsi, ora la nascita di aree di influenza, sulla base di vincoli geografici o politici di vario tipo, ora assi tra paesi medi o piccoli, per opporsi ad altre alleanze. E’ in sostanza, come si può constatare, l’esatta negazione dei principi di una Costituzione federale, la quale, per essere tale, deve esplicitamente proibire, come ha in effetti previsto la Costituzione di Filadelfia, alleanze, accordi e trattati tra gli Stati membri.
Il risultato cui porterebbero le cooperazioni rafforzate sarebbe dunque un approfondimento delle differenze e delle divisioni all’interno dell’Unione. Divisioni e differenze che, come dimostra la recente esperienza, del resto si manifestano inevitabilmente già nel momento in cui i governi devono cercare di delimitare i campi in cui collaborare e devono definire i gruppi di paesi potenzialmente interessati. All’atto pratico, la contraddizione tra il voler mantenere intatta la propria sovranità e il cercare di approfondire la cooperazione con altri Stati, paralizza qualsiasi iniziativa. Il fatto diventa particolarmente eclatante in quei settori in cui una politica comune sarebbe di vitale importanza, ma per cui sarebbe indispensabile creare un potere europeo – come appunto sarebbe necessario per la politica estera e di difesa o per la politica economica, che include la fiscalità. In questi campi la cooperazione si riduce ad una farsa, come dimostra la ridicola proposta di Francia, Germania e Gran Bretagna sulla difesa che, per inciso, chiude ogni ulteriore dibattito sulla differenza di qualità tra cooperazioni rafforzate e strutturate. Queste ultime darebbero luogo soltanto a direttori.
Questa via, quindi, che tanti sperano possa aprirsi con la nuova “costituzione” per far avanzare il processo europeo, è in realtà soltanto un vicolo cieco.
La verità è che la risposta alle contraddizioni in cui si dibatte questa Europa troppo divisa non può venire dalla creazione di alleanze o da escamotages istituzionali che non intaccano la sovranità degli Stati, ma solo dalla creazione di un nucleo federale. Questa prospettiva, che è stata al centro del dibattito europeo, soprattutto in Germania e in Francia, a partire da Maastricht e fino al discorso di Fischer alla Università Humboldt nel 2000, in questo momento sembra essere stata abbandonata, perché implica un profondo ripensamento della natura e della funzione dell’Unione europea, un ripensamento al quale per ora la classe politica europea non è evidentemente pronta, sia perché non è abbastanza lungimirante, sia perché, più semplicemente, non è ancora costretta dagli avvenimenti a prenderla in considerazione. Ma essa rimane l’unica via realistica per far progredire l’Europa, perché è l’unica capace di rafforzare e stabilizzare l’Unione ed è l’unica formula realmente aperta a tutti i paesi che vogliano aderirvi, avendo come unico requisito la volontà politica di entrare a far parte di uno Stato federale europeo.
Una volta approvata la “costituzione” l’Europa si troverà di fronte agli stessi identici problemi che deve affrontare ora, e sarà ancora una volta priva degli strumenti che le permetterebbero di affrontarli. Per questo è indispensabile che nasca sin da oggi nei paesi fondatori, su cui grava la responsabilità storica di portare a compimento il processo europeo, un dibattito serio sulla proposta del nucleo federale, che smascheri le false speranze alimentate dalla truffa delle cooperazioni rafforzate/strutturate e che inizi a chiarire i termini del problema. Solo così, quando il precipitare degli eventi farà emergere un’opportunità, questa proposta potrà esser fatta propria dagli uomini di governo e potrà tradursi in un’iniziativa concreta, salvando l’Europa dal declino cui sembra ormai rassegnata.