I problemi dell’invecchiamento della popolazione e le conseguenze che ne derivano investono tutti i paesi europei. Il patto sul Welfare, sul quale si fonda la previdenza, garantisce solidarietà tra attivi e non attivi e tra persone appartenenti a generazioni diverse, con costi distribuiti tra capitale e lavoro.
In generale, tutti i sistemi di previdenza pubblici hanno adottato il metodo del finanziamento a ripartizione basato sul principio che il prelievo a carico degli attivi sia usato per finanziare le pensioni in essere. Lo Stato si fa garante del riprodursi nel tempo della catena della solidarietà tra generazioni, assicurando la continuità del prelievo a carico degli attivi e la conseguente distribuzione.
La sostenibilità dello schema a ripartizione è divenuta critica in tutti i paesi sviluppati, per diversi motivi: a) gli squilibri demografici connessi alla diversa composizione della struttura della popolazione, in particolare al mutato rapporto tra giovani e anziani; b) l’allungamento dell’aspettativa di vita al momento della pensione; c) le trasformazioni del mercato del lavoro, caratterizzato da una sempre maggiore flessibilità.
La conseguenza di ciò è che la spesa per le pensioni pubbliche crescerà del 25% del Pil nella maggior parte degli Stati membri. I mutamenti demografici descritti comporteranno anche un aumento dei costi per la sanità, aumentando così l’impatto complessivo sulle finanze pubbliche del 48% del Pil, in funzione, naturalmente, delle tradizioni e delle specificità dei singoli sistemi nazionali e con chiare ripercussioni quanto alla possibilità per gli Stati membri di rispettare le regole di bilancio dell’Unione Economica e Monetaria.
Lo scenario di insostenibilità permarrà anche nell’Europa a Venticinque. I paesi candidati, infatti, mettono in evidenza molte caratteristiche strutturali analoghe a quelle dell’Europa dei Quindici. Innanzi tutto un basso indice di fecondità che si congiunge con il prolungamento della speranza di vita.
Le necessarie risposte, in presenza di un quadro giuridico confederale, per mantenere prestazioni adeguate e preservare, contemporaneamente, la capacità dell’Unione europea di conseguire i suoi obiettivi (tra i quali figurano un alto livello di protezione sociale, una crescita sostenibile e non inflazionistica e la coesione sociale) non potranno che essere basate sul cosiddetto metodo di coordinamento aperto che non ha natura vincolante ma di moral suasion.
In sintesi, sulla base delle disposizioni in materia di politica economica e del patto di stabilità e crescita gli Stati membri dovrebbero fissare obiettivi di adeguatezza, sostenibilità e modernizzazione del sistema pensionistico che senza imporre obblighi specifici indichino, in linea generale, il livello di sostenibilità del sistema nazionale e cosa uno Stato membro dovrebbe fare per mantenerlo o raggiungerlo. I singoli programmi nazionali di adeguatezza dovrebbero poi essere oggetto di analisi e verifica da parte degli organi comunitari.
Ma il Welfare, in ultima analisi, è una conseguenza del mercato del lavoro e in generale, della crescita dell’economia. Se la crescita non crea occupazione e i disoccupati sono sempre più numerosi, se crescono la precarietà e la povertà, anche il sistema di protezione sociale entra in crisi, incapace di far fronte ai tanti guasti che via via si accumulano nel mercato del lavoro: aumento degli oneri sociali e diminuzione delle entrate, in una spirale perversa. Nella situazione attuale di una economia a bassa crescita, di perdita di competitività e di quote di mercato dell’industria europea il problema del Welfare si pone in tutto il continente come problema generale.
Pertanto, le proposte di coordinamento dei sistemi pensionistici europei che il governo italiano potrà fare nel semestre di presidenza dell’Unione, possono, senza dubbio, nel caso in cui venissero approvate, essere considerate come un passo avanti verso le condizioni di adeguatezza e di modernizzazione del sistema sociale, ma non possono essere considerate sufficienti per la sua piena sostenibilità.
Solo la rinuncia, da parte dei singoli Stati, agli strumenti propri della politica fiscale ed economica, che in definitiva, rappresenta l’ultimo baluardo della sovranità nazionale, consente la trasformazione progressiva ed endogena dell’Europa in un’Area Monetaria Ottimale in cui una forte domanda interna integrata, conseguenza di una politica economica ed industriale centralizzata e di un adeguato bilancio federale, rilevante a fini compensativi dell’asimmetria degli shock esterni, potrà prevenire l’esclusione sociale ed il mantenimento di redditi adeguati per la popolazione non attiva, in un corretto contesto di equilibrio tra prestazioni e contributi, tenendo presente l’esigenza primaria di ridurre il costo del lavoro allo scopo di favorire lo sviluppo dell’occupazione.
Il problema della statualità e del quadro nel quale uno Stato federale europeo può nascere diventa così strategico.