Tra il 1950 e il 1954 in Europa vi furono lunghe trattative attorno alla possibilità di costituire una Comunità europea di difesa (CED) che aveva come scopo la costituzione di un esercito europeo per superare il problema del riarmo tedesco in un’ottica di reciproca integrazione e per consentire agli Stati membri della CECA di dotarsi di una politica di difesa e sicurezza.
Tale progetto non solo era solo rivolto allo scopo di una più stretta collaborazione militare, ma gettava anche le basi per la costituzione di uno Stato federale europeo fondato su una costituzione e su istituzioni democratiche. Le resistenze degli Stati a rinunciare ad un pezzo cosi importante della propria sovranità ed in particolare il rifiuto dell’Assemblea francese a ratificare il nuovo Trattato, fecero naufragare il progetto CED. L’Europa rinunciò de facto ad adottare una politica di difesa comune delegando tale compito alla NATO e alla presenza di forze e armamenti americani all’interno del vecchio continente.
Finita però la Guerra fredda e scomparsa la minaccia sovietica, si è riacceso sin dalla fine degli anni Ottanta il dibattito sulla difesa del continente e se questa può ancora essere delegata agli USA e alle loro basi. In questo nuovo contesto la presenza statunitense (e gli arsenali connessi) all’interno del territorio europeo accrescono la preoccupazione tra l’opinione pubblica e la classe politica. A ottobre il periodico tedesco Der Spiegel pubblicava un articolo sulla decisione dell’amministrazione americana di “riqualificare” l’arsenale nucleare presente sul territorio tedesco. L’idea è quella di rimpiazzare entro il 2024 le vecchie testate nucleari con delle nuove, le B-61-12, che hanno un potere distruttivo 90 volte superiore a quello della bomba di Hiroshima. Questo nonostante da tempo la Germania abbia espresso più volte il desiderio di vedere questo arsenale rimosso definitivamente, ma ad oggi i governi USA e il Pentagono non hanno fatto particolari passi indietro in tal senso, mostrandoci quanto sia unilaterale il rapporto tra la piccola Germania e il colosso statunitense. E la Germania non è la sola ad aver protestato contro l’ingerenza americana nella politica di difesa europea. Guardando all’Italia possiamo vedere come dalle vicende sull’ampliamento della base militare di Vicenza di pochi anni fa al più recente caso della costruzione del MUOS in Sicilia, le reazioni ostili delle popolazioni locali, spesso in sintonia con la più generale opinione pubblica, non abbiano sortito effetti ancora una volta a causa della “sudditanza” di tutti i paesi europei di fronte allo strapotere statunitense. E’ chiaro che se in Europa si vuole rinegoziare alla pari con gli USA il tema della difesa, non si può farlo senza una politica estera comune in grado di proporre alla NATO un nuovo piano per da difesa europea – anche per rinegoziare radicalmente i termini del vecchio Patto Atlantico.
Andare a “ripescare” un progetto analogo a quello della CED, non è solo un modo per potersi sganciare dall’ingerenza statunitense, ma offre anche la possibilità di notevoli vantaggi sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista politico-strategico. In tempo di crisi economica è chiaro che una riqualificazione della spesa militare che riduca drasticamente i costi senza intaccare la qualità delle forze armate non può non essere presa in considerazione. E’ possibile osservare come negli ultimi decenni, salvo rare eccezioni, l’impiego degli eserciti europei in missioni all’estero sia sempre stato fatto all’interno di forze multinazionali sotto mandato della NATO o dell’ONU. Se da un lato ciò ha reso necessario l’istituzione di organismi integrati per favorire la cooperazione tra le varie forze armate, dall’altro questo dato pone il dubbio se abbia ancora senso mantenere in piedi le strutture nazionali delle forze armate con tutti i costi che ne derivano, quando si potrebbe avviare un processo concreto di integrazione verso la costituzione di un esercito comune.
E’ su un aspetto particolare che è necessario soffermarsi: nei bilanci destinati alla difesa dei vari paesi europei, si può notare come diversi capitoli di spesa (addestramento, strutture di supporto, acquisto di beni e servizi, investimenti su ricerca e sviluppo di nuovi armamenti) siano comuni a tutti i 28 stati membri e spesso gli stessi paesi fanno investimenti su ricerche analoghe ma distinte. Invece di prevedere un piano di ottimizzazione dei costi e di accorpamento delle varie agenzie di ricerca che garantirebbe risparmi notevoli, gli Stati dell’UE continuano a perseverare nel perseguire le loro politiche nazionali. E’ difficile fare una stima precisa sulle spese attuali e i possibili risparmi, ma basti pensare ad esempio ad alcuni casi specifici come le spese nel settore della ricerca aereonautica, in cui le spese complessive dell’Europa sono state superiori a quelle degli USA, pur avendo lavorato su progetti analoghi e con risultati inferiori. La moltiplicazione delle spese e le conseguenti diseconomie di scala nell’ambito produttivo sono un chiaro “spreco” su cui i paesi dell’UE dovrebbero cominciare a riflettere. Una stima approssimativa ci dà infatti una forbice tra i 20 e i 120 miliardi di euro l’anno in risparmi possibili; si tratta chiaramente di una forbice molto ampia, che tuttavia non può essere sottovalutata.
Da un punto di vista politico-strategico, la creazione di una forza di difesa europea non deve essere vista come sintomo di una “tensione imperialista” dell’Europa; al contrario come mostra la natura di alcuni interventi recenti come Kosovo e Libano dove ancora oggi sono in corso le missioni di peace-keeping, l’Europa potrà giocare un vero ruolo di forza di pace nel quadro dell’ONU nell’area mediterranea. La costituzione di un esercito europeo può essere l’occasione di dare autorevolezza alla politica estera europea, se essa si doterà delle istituzioni e degli organismi necessari, in primis un vero ministero degli affari esteri, che superi la frammentazione delle linee politiche adottate dai diversi Stati, spesso troppo schiacciate su posizioni filoamericane. La mancanza di un ruolo dell’Europa nelle Primavere arabe è stata un sintomo dell’incapacità europea di sedere al tavolo delle relazioni tra le grandi potenze in condizioni di parità.
Le precondizioni per la costituzione dell’esercito europeo esistono già; attualmente vi sono in vigore diversi progetti di brigate multinazionali, costituite da forze di diversi paesi. Implementare tali progetti, istituzionalizzarli e avviare un percorso verso una maggiore cooperazione tra tali forze può permettere di costituire un nucleo da cui partire. Allo stesso modo, accorpare e rafforzare i poteri delle diverse agenzie europee che al momento si occupano, seppur in ambiti ristretti, dell’acquisto e della condivisione dei beni, può rappresentare la creazione di un primo nucleo amministrativo del futuro esercito europeo. E’ chiaro che accanto a questo processo – e per molti aspetti come sua pre-condizione – dovrà accompagnarsi lo sviluppo di istituzioni democratiche sovranazionali che abbiano il monopolio sulla politica estera e di difesa.
Insomma dopo sessant’anni dal fallimento della CED gli europei si ritrovano davanti lo stesso bivio: rinunciare a parte della propria sovranità per poter provvedere da sé alla propria sicurezza e riacquisire autorevolezza sul piano internazionale, o scegliere la strada della conservazione per continuare a contare poco nello scacchiere internazionale e lasciare ad altri la responsabilità della difesa europea.