Le decisioni del Consiglio Europeo di Bruxelles relative al contenuto della “costituzione” europea sono di profilo talmente basso da renderne superflua qualsiasi analisi. Tutte le clausole che, pur essendo prive di ogni efficacia reale, avrebbero permesso ai meno euroscettici dei governi di salvare la faccia gettando un po’di polvere negli occhi ai cittadini sono state messe da parte. Il documento che ne è uscito non è che un’espressione delle tensioni e delle contrapposizioni che esistono tra gli Stati dell’Unione.

Quando l’esito negativo del processo si stava profilando, era stata adombrata da qualcuno – ed accennata persino dai governi francese e tedesco l’ipotesi che alcuni governi, senza con questo intaccare il quadro giuridico comunitario, e quindi con il consenso degli altri, adottassero una posizione più avanzata, e la approvassero a maggioranza, o ottenessero l’inserimento nella costituzione, nel testo elaborato dalla convenzione, o in un testo simile, di una clausola che prevedesse la sua entrata in vigore soltanto tra gli Stati che l’avessero ratificata. Queste ipotesi sono rimaste relegate nel limbo delle buone intenzioni. La velata minaccia che esse contenevano non ha avuto il minimo effetto, e il potere di ricatto degli Stati più euroscettici, guidati dal Regno Unito, si è potuto pienamente dispiegare.

Il fatto è che si trattava di una minaccia completamente priva di fondamento. La “costituzione” europea è certo un nuovo trattato, come del resto lo erano stati quelli di Maastricht, Amsterdam e Nizza. Ma si tratta di un trattato che modifica i trattati esistenti, e che quindi, sulla base delle norme fondamentali del diritto internazionale pubblico, oltre che del più elementare buon senso, deve essere approvato e ratificato da tutti gli Stati che dei trattati esistenti sono parti. Anche eventuali clausole di opting out, che venissero eventualmente scelte da uno o più Stati membri, devono comunque essere accettate e ratificate da tutti.

In realtà, se dall’attuale pasticcio a Venticinque emergerà mai un gruppo più ristretto di Stati in grado di formare un nucleo federale capace di agire, ciò avverrà attraverso una rottura, e quindi attraverso la denuncia, o la minaccia della denuncia, o la aperta violazione, dei trattati esistenti: e non certo attraverso un artificio giuridico grazie al quale un’avanguardia possa nascere come risultato di una sorta di processo indolore che porti, senza interrompere la continuità, dall’esangue quadro confederale a venticinque ad un quadro federale più ristretto.

Ed è chiaro che un passo grave come la denuncia, o la minaccia della denuncia, o la aperta violazione, da parte di alcuni Stati, dei trattati esistenti può avvenire soltanto se tra gli Stati membri si verifica una divisione su di un punto decisivo, che metta in gioco la sovranità e mobiliti le passioni degli Europei. Non certo se il dissidio riguarda il contenuto di un testo minimalista come la “costituzione” europea, la cui approvazione è caduta, come non poteva non cadere, nel generale disinteresse.

 

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