Il dibattito sul futuro dell’Europa prosegue ma non sembra produrre alcun esito positivo, nonostante l’imminente scadenza dell’allargamento ed il continuo aggravarsi della situazione politica internazionale, visto che nessuno affronta (salvo pochissime lodevoli eccezioni) la sostanza del problema, e cioè la necessità che gli Stati dell’Unione, a cominciare da alcuni di essi, rinuncino ad una sovranità obsoleta ed inefficace e diano vita ad uno Stato federale europeo.
Pochi e contraddittori sono i segnali che giungono dalla Convenzione ove, prigionieri dei meccanismi tradizionali delle istituzioni comunitarie (ricerca del consenso), si affrontano un partito dichiaratamente “confederalista” che senza equivoci tende al rafforzamento del ruolo del Consiglio e dei governi nazionali ed uno schieramento “comunitarista pseudo federalista” che punta al conseguimento di obiettivi nominalmente ambiziosi (governo europeo dell’economia, abolizione del diritto di veto) ma parziali e comunque destinati ad una ulteriore diluizione nella misura in cui non si abbia il coraggio di uscire dal quadro dell’Unione. Sembra superfluo ricordare, anche alla luce delle recenti prese di posizione del governo Blair sulla politica medio-orientale degli Stati Uniti che il quadro dei Quindici non porta da nessuna parte visto che molti paesi (non solo la Gran Bretagna) sono decisamente contrari, sia a livello di classe politica che di opinione pubblica, a qualunque forma di unità politica dell’Europa, mentre altri (Austria, Irlanda) hanno limiti obiettivi, anche di carattere costituzionale, ad accettare ab initio di partecipare ad una Federazione europea che abbia le indispensabili responsabilità in materia di difesa e di sicurezza.
D’altronde il poco che emerge dal dibattito nella Convenzione rispecchia in larga misura i limiti del dibattito in corso attualmente in Europa, dibattito che non riesce a superare la contraddizione tra la consapevolezza che occorre “fare qualcosa” a livello europeo e l’incapacità di vedere che nulla si può fare di efficace senza una vera struttura statuale. Ciò avviene sia in relazione alle vicende della politica mondiale (Medio Oriente e Palestina, minacce americane di guerra all’Iraq, conflitto India-Pakistan, terrorismo, etc.) che su quelle della politica interna europea (patto di stabilità, ripresa dell’economia). Sono tra l’altro vicende strettamente collegate tra di loro, in quanto sono pur sempre l’espressione e la conseguenza del nuovo equilibrio di potere mondiale seguito alla scomparsa dell’Unione Sovietica. Nonostante stia emergendo una certa, timida consapevolezza che dopo l’11 settembre il mondo è ulteriormente cambiato e che l’Europa potrebbe (dovrebbe) assumere un ruolo diretto nella gestione degli affari mondiali, con una propria, autonoma politica estera, nessuno né nella Convenzione, né fuori di essa ne trae le dovute conseguenze. In effetti, tutti o quasi in Europa (uomini di governo, intellettuali, esperti, ecc.) si affannano ad ipotizzare la quadratura del cerchio: come possa l’Europa avere un ruolo nel mondo (ed avere la capacità di affrontare i propri problemi economici interni) mantenendo il potere nelle mani degli Stati nazionali, sia pure con la funzione di una struttura, quella dell’Unione, che nella sua essenza è “confederale”.
E' una strada senza uscita, come nessuno meglio dei federalisti ed eredi di Spinelli (la “beffa del Mercato Comune”) dovrebbe sapere.
E' la tradizionale via battuta nel passato, dei cosiddetti “piccoli passi”, che ha indubbiamente avuto il grande merito di impedire lo sfacelo dell’Europa, realizzando tutto quanto era realizzabile senza affrontare il nodo dello Stato (fino al grandissimo traguardo della moneta unica) e mantenendo sul campo la prospettiva del completamento del disegno di Ventotene, della vera unità politica, della Federazione europea. Ma è una via che ha esaurito le sue potenzialità ora che ciò che è in gioco sono gli elementi essenziali della sovranità: la politica estera e di difesa e la capacità di intervenire globalmente sulle grandi scelte di politica economica.
E' venuto il momento della verità. Ricordava recentemente il presidente della Commissione Romano Prodi che, tra poco più di dodici mesi, si dovranno concludere i negoziati con i paesi candidati per dare vita, già all’inizio del 2004, all’Unione a 25. Quali sono le prospettive realistiche che per quel tempo i Convenzionali ed i governi dei Quindici nella CIG che seguirà trovino il coraggio di compiere il “salto” dagli Stati nazionali allo Stato europeo? Praticamente inesistenti, fino a quando si accetti di restare ancorati al quadro dell’Unione.
Ma si può intravedere una via d’uscita. Ci si può battere. Il problema dell’Europa esiste, le contraddizioni permangono ed anche se il tempo diventa sempre più esiguo, è possibile che un’azione diretta dei federalisti, che faccia leva su tali contraddizioni e che metta in luce l’esistenza di una “alternativa”, abbia successo, così come è accaduto al tempo della battaglia per la moneta unica che i federalisti iniziarono nella seconda metà degli anni settanta, tra l’incredulità ed il dileggio di tutti o quasi gli esperti ed i politici. È per questo che un gruppo di federalisti ha proposto (ed avviato) un’azione quadro che metta in evidenza la questione cruciale: la necessità, oggi che tutti i traguardi intermedi sono stati raggiunti, che l’iniziativa sia assunta da quei paesi che hanno una maggiore consapevolezza del problema e le cui opinioni pubbliche sono tradizionalmente più disponibili alla scelta federalista. Dobbiamo mettere in stato d’accusa questi paesi (i sei paesi fondatori) ed i loro capi di Stato e di governo, gli eredi di De Gasperi, Adenauer, Schuman, Spaak, che fondarono le prima Comunità all’inizio degli anni cinquanta. Dobbiamo anche dimostrare, come appunto facemmo con le azioni per la moneta unica, che attorno alla parola d’ordine dello “Stato federale europeo” è possibile mobilitare ampi strati dell’opinione pubblica ed esponenti della classe politica.
È ciò che abbiamo cominciato a fare nei mesi scorsi con le azioni pubbliche di Milano, Ferrara, Pavia, Francoforte, Monza, Vigevano, Chiavari, ove pochi militanti federalisti sono riusciti in pochi giorni a raccogliere molte migliaia di firme su Appelli inviati ai capi di Stato e di Governo dei paesi fondatori con la chiara rivendicazione dello “Stato federale europeo”. Contemporaneamente, simili appelli sono stati discussi ed approvati da diversi Consigli Comunali praticamente in tutti quelli ove tali appelli sono stati presentati come mostra l’esemplare esperienza dei militanti federalisti di Ferrara ove otto consigli comunali incluso il capoluogo, hanno approvato simili messaggi, spesso all’unanimità, talvolta con pochi voti contrari o astensioni. Questa è la palmare dimostrazione che quando i federalisti hanno il coraggio e la determinazione necessaria per proporre una parola d’ordine apparentemente estremistica ma corretta (lo stato) hanno successo e possono influire sulla bilancia del potere. Quanto è stato fatto finora è poco: la maggioranza del Movimento ha scelto altre vie di mobilitazione, puntando soprattutto su un risultato positivo dei lavori della Convenzione, addirittura sulla sua trasformazione in un’Assemblea Costituente, fino al punto da proporre un “referendum” a scatola chiusa. In ogni caso, mancano pochi mesi alla conclusione dei lavori della Convenzione e presto il suo esito sarà noto e tutti potranno trarne le conclusioni. Possiamo ipotizzare che la maggioranza del MFE vorrà a quel punto aggiungere il proprio peso all’azione sullo “Stato federale” rendendola quindi più ampia e più efficace possibile? Se così fosse, il MFE avrebbe di nuovo la capacità e l’autorevolezza per proporla unanimemente alle altre organizzazioni federaliste europee che, da sempre, attendono dal nostro Movimento l’indicazione sulle azioni strategiche da condurre. Possiamo facilmente immaginare quale impatto potrà avere la nostra azione, se le esperienze di Milano, Ferrara e Francoforte, si espandessero a cento città in Europa. Questo non è impossibile, ma dipenderà dalla capacità di coloro che hanno avviato questa azione di tenerla sul campo, ampliarla e rafforzarla. Questo deve essere il nostro impegno.
Non c’è molto tempo: forse 10 o 12 mesi, prima che il quadro si pregiudichi ulteriormente e che, in assenza di una seria alternativa di lotta federalista sul campo, l’Unione Europea (allargata a 25 e più paesi) rischi di trasformarsi forse definitivamente in un’espressione geografica, succube della volontà altrui, non diversamente da quanto avvenne alle cittàstato della Grecia ed ai principati italiani del Rinascimento.