Il vero significato del voto al referendum del 4 dicembre

 

Il dibattito che si è aperto intorno alla proposta di riforma costituzionale, in vista del referendum chiamato a deciderne il destino, non sta aiutando i cittadini a comprendere qual è la vera posta in gioco nella consultazione del 4 dicembre.

Come spesso accade in occasione dei referendum, l’attenzione si è spostata innanzitutto sul sostegno o meno al governo; e i cittadini che cercano di entrare nel merito per capire i due diversi modelli di funzionamento delle istituzioni contenuti nelle norme attuali e nella proposta di riforma, si devono generalmente confrontare con argomentazioni in cui si mescolano analisi oggettive e posizioni partigiane poco fondate sui dati reali (tipiche di una lotta di potere condotta senza esclusioni di colpi) che chi non ha un minimo di competenze di diritto costituzionale difficilmente riesce a distinguere.

In questo dibattito confuso e poco costruttivo la prima vittima diventa la possibilità della scelta democratica, che è effettiva solo se il significato politico del voto che si è chiamati ad esprimere è chiaro e trasparente.

Se si ha il coraggio, pertanto, di abbandonare la logica del confronto interno alla politica italiana, e si cerca di valutare le opzioni in campo con la giusta obiettività, che non può prescindere dal contesto politico generale, le cose appaiono più semplici.
 

La riforma costituzionale

Le modifiche all’attuale assetto costituzionale contenute nella proposta di riforma riguardano essenzialmente la fine del bicameralismo perfetto e la ridefinizione dei rapporti tra Stato e regione.

Sulla prima materia si tratta di ovviare ad una peculiarità negativa del nostro sistema politico, frutto, alle origini, sia della reazione all’esperienza fascista, sia dell’anomalia dei partiti italiani dopo la fine della guerra – ossia della massiccia presenza di un partito comunista non ancora del tutto autonomo, ai tempi, dall’Unione sovietica.

Si sottolinea forse poco questo aspetto, ma questa conseguenza delle nostre circostanze particolari, ossia la specifica volontà di frenare e indebolire l’esecutivo (che è l’effetto voluto del bicameralismo perfetto), ha potuto essere mantenuta nel nostro paese, in un contesto (quello della Guerra fredda) che, grazie alla tutela esterna americana e alla stabilità dell’equilibrio bipolare (uniti all’apporto politico ed economico del processo di integrazione europea), fornivano una serie di garanzie al funzionamento del nostro sistema interno. Al tempo stesso, le conseguenze negative di questa condizione, che sono state reiteratamente denunciate, si possono sintetizzare nella progressiva deresponsabilizzazione della politica (con la conseguente crescita della corruzione e l’implosione del sistema dei partiti) e nell’incapacità di affrontare e sciogliere i nodi dell’arretratezza del nostro paese.

Con la fine della Guerra fredda e l’avvio dell’unione monetaria a livello europeo, questa contraddizione è diventata esplosiva (e infatti è dagli inizi degli anni Ottanta che in Italia si cerca di modificare, senza successo, questa parte dell’ordinamento costituzionale). Il quadro globale, diventato improvvisamente fluido, ha iniziato a porre sfide pesantissime, e la creazione della moneta unica ha costretto l’Italia ad abbandonare certe pratiche deleterie che avevano permesso fino a quel momento di convivere con i problemi irrisolti. Ma in Italia tutto questo non ha coinciso con una capacità della politica di affrontare le nuove sfide. Anzi, tutti sanno che la storia di questi quasi vent’anni in questione è una storia di occasioni sprecate e di accumulo di ulteriori problemi che hanno reso l’Italia uno degli anelli deboli della catena europea. E non si può prescindere dal sottolineare che solo grazie alla tenuta del quadro europeo il nostro paese ha potuto trovare la forza di voltare pagine e di aprire una stagione di riforme necessarie per ripartire.
 

Le ragioni del Sì

La riforma costituzionale è un pezzo di questo percorso. Nel paese c’è in realtà una schiacciante maggioranza favorevole a questo tipo di riforma, consolidatasi in decenni di tentativi naufragati a causa delle rivalità interne di potere. La proposta, di fatto, è il frutto di un lavoro parlamentare che ha coinvolto un amplissimo schieramento di forze, che lo hanno ripetutamente approvato in Aula fino alla conclusione del suo iter in Parlamento. Semplicemente, permetterà al governo di lavorare in modo molto più trasparente grazie alla maggiore stabilità e lo costringerà ad assumersi anche più chiaramente le proprie responsabilità di fronte ai cittadini, che alle elezioni potranno meglio giudicarne l’operato.

Per quanto riguarda invece la riforma del Titolo V, ossia la ridefinizione dei rapporti Stato-regioni, si tratta di un intervento reso necessario dagli effetti nefasti della riforma del 2001, che ha contribuito ad accrescere i problemi di irresponsabilità del nostro sistema. Ci sono pochi dubbi a questo proposito, anche se questa parte della riforma è ingiustamente sottovalutata nel dibattito.

In sintesi, la riforma costituzionale che si è chiamati a valutare il 4 dicembre rappresenta la conclusione di un lungo percorso che vuole portare la politica italiana a diventare più responsabile, per rispondere meglio alle esigenze dei cittadini e alle sfide complesse della nostra epoca.
 

Le ragioni del No

Nella variegata galassia di forze che sostengono il No al referendum si incrociano diverse ragioni.

La motivazione più chiara è quella di chi si oppone a qualsiasi cambiamento degli equilibri stabiliti dall’attuale Costituzione in nome della validità del principio della debolezza del governo. Sono forze che ritengono pericoloso che un esecutivo possa svolgere in modo deciso il proprio compito e che siano poi gli elettori al termine del mandato a valutarlo sulla base dei risultati. E’ una posizione che si fonda, nei fatti, su una forte sfiducia verso la democrazia italiana e la maturità dei suoi cittadini, e che teme eventuali derive autoritarie. E’ decisamente minoritaria all’interno dello schieramento contrario alla proposta di riforma, e ha il pregio della coerenza (non ne ha mai appoggiato l’iter). Ha però il difetto di non prendere in considerazione l’effetto paradosso della volontà di conservazione, che perpetua la situazione che ha favorito la degenerazione del nostro sistema (e reso più forti le correnti populiste).

Tra le altre componenti dello schieramento del No le ragioni sono molto differenziate. Molti sostengono di voler rigettare questa proposta per poterne riproporne una migliore, chi riferendosi al modello presidenzialista, chi ipotizzando equilibri ancora diversi tra i vari poteri  e livelli dello Stato. Sono unite dalla comune opposizione al governo in carica. Si tratta, tuttavia, di un insieme di posizioni inconciliabili che, se vittoriose, non porterebbe a nessun progetto alternativo, ma solo alla fine del tentativo di riformare la politica nel nostro paese.
 

Conclusioni – Le ragioni europee della riforma

Il MFE, che è a-partitico e che si muove in un quadro e in una prospettiva europei, non si schiera normalmente su questioni che riguardano prettamente la politica nazionale. Anche in questo caso, a livello nazionale, si è preferito non entrare direttamente nella scelta tra il Sì e il No. Ma, a livello di sezione pavese, approfittando della libertà di movimento peculiare delle sezioni locali, abbiamo sentito la responsabilità di rivolgerci pubblicamente ai cittadini e a chi sta affrontando con onestà intellettuale questo dibattito, proprio per cercare di evidenziare gli effetti europei che il risultato del referendum è destinato ad avere.

Anche se molti si affannano a spiegare che non succederà nulla di clamoroso, qualunque sia il risultato del voto, la realtà, invece, è che la posta in gioco è importante, e condizionerà tutta la fase successiva della nostra vita politica, con le relative ricadute sugli equilibri europei. Per quanto si voglia negare questa verità, la proposta di riforma costituzionale è un tentativo di responsabilizzare le forze politiche attraverso la promozione di un sistema che, è bene ancora ricordarlo, renderà più trasparente il sistema decisionale, toglierà alibi a chi non vuole agire con coerenza, e toglierà spazio ai ricatti degli interessi costituiti e dei singoli che agiscono sulla base di interessi privati, in spregio al bene comune. Rigettare questo tentativo significa dare il proprio benestare ad un sistema opaco e irresponsabile, e regalare un incredibile atout alle forze del populismo, che cavalcano in modo assolutamente irresponsabile la confusione che in questo momento impera. Per i nostri partner europei – che come nel caso del referendum britannico non “chiedono” per sé, ma fanno parte dello stesso sistema e vivono quindi insieme al paese interessato le conseguenze delle decisioni prese in questo tipo di consultazioni – il messaggio sarà che l’Italia ritorna nel caos politico. Non perché cadranno il governo o l’attuale presidente del Consiglio: se questo avvenisse nell’ambito di una elezione finalizzata a questo scopo, e quindi sulla base di una scelta responsabile, non ci sarebbero certo problemi. Ma gli italiani oggi non sono chiamati a scegliere un nuovo governo, bensì a dire sì o no ad un percorso di auto-riforma della politica – e se vince il No, sconfessano esattamente questa possibilità. In un’Europa piena di tensioni, l’effetto di un’Italia che rinnega il cammino percorso negli ultimi 5 anni e sceglie di ripartire da zero sarà sicuramente gravissimo, ed è difficile fare pronostici che non siano fortemente negativi.

Questa verità non riesce a farsi strada in un dibattito estremamente strumentalizzato, e con un’informazione che ha perso ogni capacità di far emergere la differenza tra verità e menzogna. E’ un problema di tutto l’Occidente, purtroppo, come ci ha ben mostrato il dibattito in Gran Bretagna sull’uscita o meno dall’UE, e come hanno confermato le presidenziali americane. Ma questo “mal comune” non diminuisce il pericolo, anzi; proprio perché viviamo sull’orlo del baratro della vittoria delle forze che minacciano di riportare indietro l’orologio della storia, appoggiarle, anche se involontariamente, può avere effetti molto più irreversibili di quanto non si creda.

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