Al giorno d'oggi è impressione comune che in molti ambiti l'Unione europea non riesca a far valere i propri interessi a livello globale. Uno di questi è la politica estera: quante volte infatti ci siamo chiesti perché l'Europa sembra essere impotente di fronte alle minacce per la sicurezza in zone tanto vicine a noi? La risposta a questo interrogativo va ricercata nella struttura stessa dell'UE.
Analizzando i trattati che la costituiscono, spunti interessanti si possono ottenere con un confronto storico con l'attore simbolo delle relazioni internazionali del XX secolo, ossia gli Stati Uniti. A tal fine sarà utile ripercorrere brevemente la storia politica estera americana partendo dalle sue origini.
Il Dipartimento di Stato americano nacque ufficialmente nel 1789 come ministero degli esteri unificato degli Stati Uniti, un decennio dopo l'indipendenza delle tredici colonie. Il primo Segretario di Stato fu John Jay, appassionato sostenitore di un forte governo federale e coautore dei Federalist papers, i cui sforzi si diressero verso il riconoscimento dell'indipendenza da parte delle altre nazioni, l'armonizzazione delle tredici colonie nella Costituzione degli Stati Uniti, il rafforzamento dei confini esterni e la protezione del paese contro incursioni nemiche. In ogni caso, a partire dagli ideali fondativi del Common sense di Thomas Paine del 1775 fino alla guerra di Cuba del 1898, la politica estera americana si concentrò esclusivamente su aspetti di tipo economico e commerciale. Fu solo con quell'evento storico, che vide la schiacciante vittoria degli Stati Uniti sulla Spagna, che gli americani incominciarono ad attuare politiche di potenza, seppur guidate sempre da criteri economici, affacciandosi prepotentemente sullo scacchiere mondiale. I passaggi successivi per comprendere il ruolo di leadership globale degli USA sono le guerre mondiali, che videro sia il progressivo rafforzamento del potere esecutivo e del dipartimento di Stato americani sia il suicidio economico e militare delle potenze dell'Europa continentale, e la Guerra fredda, che pose gli Stati Uniti nel ruolo di guida delle potenze occidentali. Questo excursus storico, tanto breve quanto limitato, indica a grandi linee come una politica estera unita e realista riuscì, parallelamente al massiccio sviluppo economico, a trasformare 13 sparute colonie nella più grande potenza mondiale.
Del tutto diversa è la situazione dell'Unione europea. Gli Stati dell'Europa continentale hanno vissuto un repentino declassamento politico nel corso del Novecento accettando la protezione della Nato in cambio della perdita di una completa autonomia nella definizione della propria politica estera. L'incapacità europea tuttavia ha radici ben più profonde, paragonabile a quella degli Stati italiani del '500. Infatti questi ultimi uscirono di scena poiché non furono in grado di competere con potenze nazionali in quanto ad armamenti e ad organizzazione delle forze armate. Lo stesso si può affermare anche per gli Stati europei contemporanei nei confronti delle potenze continentali, in termini sia di armamenti convenzionali e nucleari, sia di svantaggio a livello di intelligence, big data, controllo dei confini e fonti energetiche e protezione dalle minacce non statali. Alla luce di ciò la soluzione necessaria sarebbe la creazione di una comunità di politica estera UE a partire dai passi avanti finora ottenuti in questi termini. Infatti, la debolezza strutturale dell'Unione è data dal complesso sistema decisionale dell'azione esterna, che passa da votazioni all'unanimità del Consiglio europeo per la definizione dell'indirizzo politico, e del Consiglio per l'adozione delle posizioni e delle azioni necessarie al conseguimento degli scopi prefissati. Inoltre, agli Stati è data la possibilità di continuare una politica estera autonoma e indipendente rispetto a quella decisa a livello comunitario. Pertanto questo fatto, unito alla natura intergovernativa del Consiglio europeo e del Consiglio, fa sì che per l'Unione sia impossibile agire a livello internazionale in modo univoco, sulla base di interessi comuni. Ulteriore elemento di debolezza sono le inadeguate risorse a disposizione dell'UE in termini economici dato che l'Unione non possiede un bilancio adeguato al finanziamento di una qualsivoglia politica estera, e in termini militari poiché semplicemente non esiste nessuna forza armata europea. In una prospettiva federalista dunque le strade da percorrere si trovano in un potenziamento del bilancio, che parte dal presupposto fondamentale dell'unione fiscale, e in una modifica del processo decisionale con un maggior ruolo del Parlamento e della Commissione, rappresentata dall'Alto Rappresentante per la PESC. Alla luce di ciò le recenti dichiarazioni sull'Unione a due velocità sono promettenti perché i paesi che volessero procedere all'integrazione della propria politica estera avrebbero finalmente la possibilità di farlo senza essere ostacolati da altri paesi. Fino ad allora gli Stati resteranno inermi di fronte alle grandi sfide che il mondo pone loro innanzi.