L’Unione europea, nel corso degli oltre sessant’anni della sua esistenza, ha saputo garantire entro i propri confini il consolidamento di istituzioni democratiche, la pace e lo sviluppo economico; e nonostante la crisi di questi ultimi anni, continua ad attrarre migliaia di disperati che fuggono da fame e guerre e che mettono a repentaglio la propria vita affrontando la traversata del Mediterraneo o percorrendo a piedi paesi in guerra.

L’Europa resta quindi una meta ambita e agognata, quella stessa Europa che assiste impotente al proliferare di guerre ai propri confini. Non vi è solo l’Ucraina, ove è in corso una guerra silente e quasi dimenticata. Lungo le sponde del Mediterraneo sono in corso terribili conflitti cui gli Stati europei rispondono con le iniziative di qualche singolo paese alla ricerca di una visibilità e credibilità internazionale ormai perduta. L’effetto delle Primavere arabe, con l’eccezione della sola Tunisia, è stato quello di portare al consolidamento di governi filo islamisti o, come in Egitto, governi militari. In Libia, con la caduta del regime di Gheddafi, si è aperta una guerra fratricida che induce ogni giorno centinaia di persone alla fuga e ad emigrare. L’intervento militare, in particolare di Francia e Gran Bretagna, con il sostegno di Stati Uniti e Italia, ha sì portato alla caduta di un regime, ma ha destabilizzato l’intero paese non avendo favorito nel contempo la creazione di una leadership democratica alternativa, generando così un caos politico che con l’emigrazione e i profughi si ritorce addirittura contro l’Europa stessa.

La mancanza di una unione politica dell’Europa, e quindi di una politica estera e di difesa comune, si manifesta ogni giorno con il caos che vediamo ai nostri confini. E in questo caos, sfruttando l’inconsistenza politica dell’Europa, la Russia torna a mostrare la propria volontà di potenza anche nel Mediterraneo oltre che, come già avvenuto, in Ucraina. Da parte loro gli Stati Uniti, lasciati da soli, non sono in grado di governare il mondo e di garantire pace e sviluppo: sono troppi i conflitti armati o politici aperti su scala mondiale cui dover prestare attenzione; ed è troppo incerta nel paese la visione del diverso ruolo rispetto al passato e dei nuovi equilibri che, come potenza ormai non più unica, gli USA devono imparare a perseguire. In questo quadro, ecco il ritorno della Russia che agisce militarmente in Siria.

Gli avvenimenti in Siria, dove da decenni la Russia ha propri basi militari navali a Tartus e Latakia, dovrebbero indurre gli europei a riflettere sui propri errori e a cercare di coinvolgere la Russia nei tentativi di pacificazione di una regione, quella Medio orientale, dove, senza una ampia intesa Russia-Stati Uniti-Unione europea potrà prevalere solo la forza. E’ quello che accade da sempre con la crisi israeliano palestinese e con la conflittualità interna ai paesi arabi, divisi loro stessi da faide religiose e politiche che hanno favorito il fanatismo pseudo religioso dell’ISIS che, partendo dall’Afghanistan e dall’Iraq è giunto sino al Mediterraneo, in Libia e Siria. Dividersi oggi, come sta accadendo, sulla questione se sia giusto appoggiare l’intervento russo in Siria oppure contestarlo perché in realtà aiuta il governo del dittatore Assad, non fa altro che dare vigore alla volontà di leadership russa nella regione. Alla Russia importa che al governo in Siria vi sia qualcuno che non contesti la sua presenza con basi militari navali nel Mediterraneo. Da parte loro, gli Stati Uniti (con l’avvallo dell’Europa) premono su Assad perché dichiari la propria disponibilità a farsi da parte pur di garantire l’unità del paese dinanzi all’avanzata dell’ISIS e alla pressione della Turchia nella regione curda. Lo fanno soprattutto perché gli alleati, arabi e turchi, nella regione lo pretendono. E per non lasciare troppo spazio all’Iran. Ma in questo modo restano prigionieri delle proprie contraddizioni, senza neanche voler tener conto che per deporre Assad deve essere chiara l’alternativa politica in grado di garantire unità e stabilità alla nazione, se non si vuole avere un nuovo caso libico.

Nel vuoto di leadership occidentale nella regione non deve stupire che si manifesti dunque la politica di potenza di una nazione, la Russia, che desidera tornare a svolgere un ruolo su scala mondiale. Si tratta di un ruolo che si manifesterà sempre più in modo evidente, anche sul piano militare, viste la debolezza americana e l’inconsistenza dell’Unione europea. Le ambizioni di singoli paesi europei che sperano con una propria azione, magari militare, di risolvere i problemi sono chiaramente destinate all'insuccesso (come è stato dimostrato dal caso della Libia). Dovrebbe essere evidente che per l'Unione europea il tempo delle riflessioni e delle esitazioni è scaduto. Bisogna definire al più presto la struttura, le istituzioni ed i poteri dell'unione politica, che includa quella fiscale ed economica e che comprenda in prospettiva anche le competenze della difesa e della politica estera, tra gli Stati disponibili a compiere un tale trasferimento di sovranità e che già condividono, o si preparano a condividere, l’euro. In questo quadro, si potrà promuovere una politica credibile di cooperazione economica e per la creazione di un sistema regionale di sicurezza reciproca tra europei e Russia, diminuendo i margini di manovra di chi, a Ovest e ad Est, scommette pericolosamente sul ritorno al confronto militare fra due blocchi e contrasta la nascita di un ordine multipolare cooperativo.

 

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