La decisione del Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer di entrare a far parte della Convenzione Europea in rappresentanza del governo tedesco deve far riflettere sulle reali possibilità di azione e sulla natura del dibattito sul futuro dell’Europa. Da un lato questa decisione potrebbe preludere ad una iniziativa per sfidare la Convenzione ad uscire dalle ambiguità e contraddizioni in cui si dibatte. Dall’altro lato potrebbe significare che anche Fischer non ha saputo resistere alla tentazione di cimentarsi con il blabla europeo oggi dominante.
Al momento ogni interpretazione è possibile. Certo è che finora il Ministro Fischer non ha dato seguito alle dichiarazioni che aveva rilasciato alla vigilia del suo incarico nella Convenzione in una intervista al quotidiano britannico Guardian (15 ottobre), in cui si leggeva: “Se gli europei vogliono giocare un ruolo nel ventunesimo secolo, devono trovare il modo di unirsi. So che parlare di piena integrazione politica in Gran Bretagna non è molto popolare, ma se vogliamo diventare un valido partner degli Stati Uniti, dobbiamo fare l’Europa altrimenti ne pagheremo le conseguenze. Ora, tutte queste belle cose di cui si discute oggi non fanno fare un solo passo avanti, né un terzo, un quinto o un decimo di passo avanti. Si tratta di cose che possono anche essere fatte, ma che alla fine non funzioneranno e ne pagheremo le conseguenze. Solo un reale passo verso l’integrazione politica ci consentirà di giocare il ruolo che meritiamo e di cui abbiamo bisogno”.
Nella stessa intervista Fischer manifestava la sua delusione per l’andamento della Convenzione, e l’intenzione di lanciare una nuova iniziativa per il futuro dell’Unione europea. Alcuni giorni dopo quell’intervista Fischer diventava membro della Convenzione europea in rappresentanza del governo tedesco.
Dopo un lungo periodo di caute dichiarazioni, Fischer è tornato dunque a puntare il dito sulla necessità di unire davvero l’Europa, ricalcando lo spirito ed i toni del suo precedente discorso nel maggio 2000.
Si tratta di segnali che testimoniano dell’esistenza, nel governo di un paese chiave nella battaglia per la federazione europea, della consapevolezza che o l’Europa compie un salto federale oppure è condannata a vivere un futuro incerto e con un ruolo subalterno. Un segnale che, se sarà sostenuto da iniziative concrete, difficilmente gli altri paesi potranno ignorare e sul quale anche il MFE e l’UEF dovrebbero riflettere.
Non è certo casuale che il vice-Cancelliere Fischer abbia rilasciato simili dichiarazioni all’indomani dell’ennesima bocciatura da parte della Gran Bretagna dell’ipotesi che ci possa essere un trasferimento di sovranità a livello europeo in campo economico, militare e di politica estera. Né può essere casuale che ciò sia avvenuto dopo che da mesi è in corso un dibattito sulla effettiva tenuta del patto di stabilità e quando appaiono più evidenti le divergenze tra i paesi dell’Unione in materia di politica estera per quanto riguarda i rapporti con gli USA e la soluzione dei principali nodi della politica internazionale. Al di là degli omaggi verbali alla prospettiva dell’unità politica dell’Europa, la disunione, non l’unione, sembra oggi tornata ad essere la stella polare delle politiche nazionali. E in questo quadro, com’era prevedibile, la Convenzione europea non può che essere lo specchio in cui si riflettono le divisioni e le contraddizioni degli europei. Ora che Fischer ha deciso di entrare a far parte della Convenzione dovrà dunque passare dalle parole ai fatti: se si lascerà condizionare dalla logica del quadro a Quindici (presto a 25), la sua azione si spegnerà sul nascere; se invece deciderà di gettare sul piatto della bilancia il peso del governo che rappresenta lavorando per la rottura tra chi vuole davvero andare avanti e chi no – cioè la questione del nucleo federale – si potrà aprire una nuova opportunità di lotta.
Resta il fatto che ora più che mai appare evidente come, senza l’iniziativa dei governi dei paesi chiave dell’Unione europea, nessun progresso significativo appare possibile.