In questi ultimi mesi, in occasione del dibattito sul futuro dell’Unione europea legato ai lavori della Convenzione, sono state tante le voci, che si sono alzate per descrivere auspici e possibilità di riforma dell’attuale architettura europea.

Tony Blair ha proposto di assegnare ad un ex-primo ministro la presidenza del Consiglio europeo per cinque anni, al fine di garantire maggiore autorità politica all’Unione europea sia verso l’esterno che verso l’interno.

Giuliano Amato si è fatto promotore dell’idea di un esecutivo europeo bicefalo, in cui la politica estera e la difesa sarebbero di competenza diretta del Consiglio europeo, e quindi indirettamente degli Stati, mentre politica economica, giustizia e ordine pubblico ricadrebbero sotto la responsabilità della Commissione europea. Il Parlamento europeo, ispirato in larga misura da Alain Lamassoure, ha richiesto la redazione di una Costituzione europea, l’attribuzione all’Unione delle competenze in tema di politica estera e di difesa, la definizione di una fiscalità europea e di un potere d’imposizione indipendenti dagli Stati membri.

La Commissione europea ha indicato gli strumenti di cui dotare l’Unione europea perché consolidi il proprio modello economico e sociale, eserciti responsabilità di potenza mondiale, assicuri al proprio interno libertà, sicurezza e giustizia: l’adozione di una Costituzione, la trasformazione della Commissione stessa in un governo europeo, l’estensione del metodo comunitario alla politica estera e di difesa, la messa in discussione del diritto di veto.

Al di là delle differenze riscontrabili nell’ispirazione, nelle finalità e nel dettaglio delle singole proposte, dipendenti soprattutto dalle diverse aspirazioni e dalla fantasia istituzionale, tutte queste proposte sono accomunate da una mancanza sostanziale: se in ognuna più o meno presente il risultato finale da raggiungere, non si delineano chiaramente in nessuna i soggetti che possono raggiungerlo e le condizioni che determinano la volontà di raggiungerlo.

Tutti programmano per l’Europa un futuro politico di grande potenza mondiale, capace di esprimere un’unica politica estera e di difesa, ma soprattutto in grado di avere e sostenere un’unica visione del mondo e di farsi promotrice di un modello esemplare di convivenza sociale.

Pochi lo dicono, molti lo pensano ma non lo dicono: questo futuro è possibile solo se l’Europa diverrà uno Stato, con un proprio governo e una sola “comunità politica” alla quale quest’ultimo dovrà rispondere democraticamente.

Ma se il risultato finale è abbastanza chiaro, cosa manca alle proposte sul futuro dell’Europa di questi ultimi mesi? Cosa impedisce di attribuire alla Convenzione il ruolo storico di costituente della nuova Repubblica europea?

La risposata dei federalisti europei non dovrebbe lasciare spazio a compromessi e confusione:

- manca l’individuazione dei soggetti che “possono” decidere di fondare un nuovo Stato;

- manca la definizione delle condizioni che sono in grado di determinare in tali soggetti il formarsi della volontà di fondare un nuovo Stato. Chi può decidere di fondare lo Stato europeo? Il Parlamento europeo, la Commissione europea, i Parlamenti e i Governi dei 15 Stati membri, gli enti locali, la “società civile”(?), i paesi candidati all’ingresso nell’Unione? O magari tutti questi soggetti riuniti in una Convenzione? No, la fondazione di un nuovo Stato richiede la decisione dei soggetti che detengono il potere de facto di cederlo. Questi soggetti non possono che essere i Governi dei paesi dell’Unione europea che tra loro sono accomunati più degli altri dallo stesso percorso storicopolitico. Sono i cittadini e la classe politica di questi paesi che devono decidere, nei fatti, di fondare una sola “comunità politica”, un nuovo Stato.

E quali sono le condizioni determinanti la volontà di fondare un nuovo Stato?

Le condizioni fondamentali sono due:

- la prima è che i Governi si trovino nella materiale impossibilità di incidere sulla realtà attraverso i tradizionali strumenti a disposizione degli apparati politico-amministrativi nazionali, situazione questa che genera la perdita di legittimazione e consenso popolare;

- la seconda è che sia presente e attivo un movimento politico di dimensione europea capace di individuare e comprendere la situazione di “crisi” e di indicare ai Governi la strategia da percorrere per rispondere efficacemente alle istanze di un’unica “comunità politica” di grandezza sopranazionale.

Se la prima delle due condizioni è già presente nella realtà europea, la seconda dipende in larga misura dalla lucidità con cui il Movimento Federalista Europeo saprà analizzare il contesto storico e tracciare la direzione da seguire per ridare slancio e vigore ai principi e ai meccanismi della democrazia europea.

Oggi più che mai, l’azione di un movimento d’avanguardia come il MFE, può costituire condizione determinante perché maturi tra alcuni dei Governi europei la volontà di fondare un nuovo Stato.

 

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