La crisi politica che il Belgio sta vivendo, dopo le elezioni nazionali del giugno scorso, getta delle ombre non solo sul futuro di questo paese, ma anche su quello dell’Europa. Basta citare alcuni preoccupati commenti per rendersi conto che non si tratta di una delle solite crisi tra diverse comunità linguistiche che hanno caratterizzato la storia del Belgio e che hanno potuto essere tamponate con qualche compromesso pseudo-federale. “Il Belgio e l’ideale europeo sono al bivio. La solidarietà è stata finora alla base della costruzione europea. Oggi la mondializzazione e l’egoismo mettono a dura prova questo principio”, scriveva il 1415 agosto il quotidiano Le Soir commentando la grave crisi istituzionale che aveva impedito la formazione di un nuovo governo dopo l’affermazione elettorale del partito democristiano fiammingo guidato da Yves Leterme. Lo scrittore fiammingo di Bruxelles Geert Van Istendael, autore di un libro dal significativo titolo Il labirinto belga, concludeva amaramente che “se il Belgio è impossibile, anche l’Europa lo diventa, perché dove non possono convivere due o tre comunità linguistiche, non si capisce come possano farlo ventisette”. Per Le Monde infine, “L’acrimonia del dialogo politico belga è contraria allo spirito di fiducia reciproca che ha reso possibile la costruzione europea, ma ne spiega paradossalmente l’indebolimento” (“Egoïsmes régionalistes”, di Thomas Ferenczi, 23.08.07).

L’espressione che ricorre sempre più spesso nel dibattito politico è che il Belgio si sta dissolvendo e, con esso, una certa idea di Europa. Il fatto che nell’Unione Europa sei dei nuovi dodici paesi membri non esistessero prima della caduta del muro di Berlino e che, per esempio, uno di questi, la Slovenia, con una popolazione che è solo circa il doppio di quella della regione di Bruxelles, abbia acquisito in pochi anni lo status di paese sovrano nelle istituzioni europee e mondiali e si appresti ad entrare nella zona dell’euro, fa ritenere ai più che anche l’eventuale disgregazione del Belgio potrebbe essere assorbita senza traumi nella nuova Europa.

Purtroppo, si tratta di una pericolosa illusione. La crisi dello Stato belga è infatti il sintomo di un profondo malessere e si accompagna al tempo stesso a fenomeni di degenerazione della vita civile del paese e ad una concezione micro-nazionalistica della sovranità statuale destinata ad indebolire ulteriormente il quadro europeo. Nel paese ci sono già le avvisaglie del clima di crescenti tensioni e rivendicazioni che caratterizzeranno la vita politica in attesa dell’esito delle prossime elezioni regionali nel 2009. Da una parte i partiti fiamminghi chiedono ormai la regionalizzazione delle politiche fiscali, dell’immigrazione, della giustizia, della sicurezza sociale. Dall’altra, i partiti valloni cercano l’annessione alla Vallonia del distretto di Bruxelles per cautelarsi da eventuali secessioni della comunità fiamminga.

Il futuro del Belgio in quanto Stato è quindi molto incerto. Esso ha da tempo imboccato irresponsabilmente la via della balcanizzazione che prospetta per il paese la divisione in due staterelli “sovrani”, uno fiammingo, tendenzialmente sotto tutela olandese-tedesca e l’altro vallone, tendenzialmente sotto tutela francese, con un distretto europeo di nome ma belga de facto – quello di Bruxelles – conteso o condiviso di volta in volta dai due campi.

Una riforma delle istituzioni basata su criteri cosiddetti etnici e linguistici e un infelice meccanismo elettorale hanno favorito e alimentato questa frammentazione nel cuore dell’Europa: i cittadini in Vallonia e nelle Fiandre possono votare solo per i rispettivi partiti regionali, e non per delle famiglie politiche transregionali. Il quadro in cui questo processo degenerativo si sviluppa trova la sua giustificazione teorica nell’affermazione di uno pseudo federalismo interno e nell’ipotesi della costruzione di una Europa delle regioni. Tutto ciò nonfa che favorire i disegni di tutti coloro i quali – in Europa e fuori di essa – sono lucidamente contro l’Europa, e hanno interesse a tenere divisi gli europei, frammentando ulteriormente il potere a livello subnazionale e combattendo la prospettiva della creazione di un potere sovrano europeo.

Per queste ragioni, il processo di disgregazione dello Stato belga e i suoi effetti sul destino del progetto di unificazione politica dell’Europa non devono essere sottovalutati.

Innanzitutto, fin da ora, diventa difficile pensare che il governo belga possa avere un ruolo attivo nei prossimi mesi ed anni, anche solo semplicemente sul terreno di un approfondimento delle cooperazioni fra Stati europei e del rafforzamento delle istituzioni esistenti. Questo fatto dovrebbe costituire una ragione in più per quei paesi, in primis la Francia e la Germania, sui quali ricade la responsabilità di fare la federazione europea, non per rallegrarsi dell’indebolimento dei vicini, ma per prendere l’iniziativa prima che l’Europa – e con essa anche i grandi paesi venga travolta dalle aporie del passato e dalle contraddizioni del mondo nuovo che avanza.

In secondo luogo il fallimento del falso federalismo belga, unito alla sempre più evidente impossibilità dell’Unione europea di trasformarsi a ventisette in una federazione dotata di un governo e di una costituzione federali producono l’effetto di screditare ulteriormente il federalismo come modello istituzionale agli occhi dell’opinione pubblica. Una ragione, questa, per rilanciare l’azione e la presenza dei federalisti europei nei confronti dei partiti politici e dei cittadini per dimostrare che, al contrario, oggi la salvaguardia della democrazia è legata proprio all’affermazione del federalismo, innanzitutto a livello europeo con la creazione di un primo nucleo di Stato federale, e poi a livello interno per poter preservare l’unità pur salvaguardando la diversità.

  

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