La Conferenza intergovernativa riunita a Bruxelles a metà dicembre si è rivelata incapace di trovare un accordo sulla bozza di Trattato-Costituzione preparato dalla Convenzione europea. Nel commentare il fallimento, cosi com’era avvenuto dopo il Consiglio europeo di Nizza nel 2000, molti hanno criticato il prevalere delle posizioni nazionali sull’interesse comune europeo e la sempre più chiara incapacità delle conferenze intergovernative di trovare un accordo per riformare l’Unione europea. Il fallimento di Bruxelles offre però delle lezioni più profonde, che chi è impegnato per l’unificazione politica dell’Europa deve saper cogliere, se non si vuole rassegnare ad una serie infinita di fallimenti e ad assistere alla lenta agonia dell’Europa.
A Bruxelles non c’è stato nessuno scontro tra paesi supposti nazionalisti (in questo caso la Spagna e la Polonia, che difendevano il sistema di voto di Nizza) e paesi supposti federalisti (tutti gli altri). L’Unione degli uni non sarebbe stata in realtà molto diversa dall’Unione degli altri: con un sistema di voto o con l’altro, la bozza di Costituzione (ulteriormente indebolita rispetto alla già debole proposta della Convenzione) avrebbe mantenuto l’Unione prevalentemente intergovernativa, senza governo (perché la Commissione non sarebbe comunque diventata un governo democratico e sovranazionale), senza ulteriori poteri (perché la politica estera e di difesa e la politica fiscale sarebbero rimaste nelle mani dei governi nazionali) e senza democrazia (perché il Parlamento europeo sarebbe rimasto ininfluente sulle grandi scelte della politica europea come lo è oggi).
Il fallimento di Bruxelles non segna tanto il fallimento del metodo intergovernativo quanto in realtà il fallimento dell’Unione tout court. La Conferenza intergovernativa, e il dibattito che l’hanno preceduta, hanno soltanto messo a nudo che l’Unione di oggi – o, meglio, i 25 Stati membri dell’Unione di oggi – non hanno più una visione condivisa del proprio passato (l’unità dell’Europa come risposta al problema storico del nazionalismo, della pace e della guerra in Europa), né del proprio presente (il ruolo geopolitico dell’Europa e il suo rapporto con gli Stati Uniti, come dimostrato nella crisi con l’Iraq), né del proprio futuro (se l’Unione debba evolvere verso una federazione o rimanere un’Unione di Stati nazionali sovrani, più o meno integrati in certi settori, o addirittura fare dei passi indietro). Si tratta di una situazione che il cambiamento di governo in qualche paese o il mutare degli eventi internazionali può di volta in volta rendere più o meno evidente, ma che è in realtà ormai profondamente strutturale. In questo senso l’Unione europea è oggi non più il quadro che permette l’unità politica dell’Europa, ancorché graduale, ma il quadro politico e istituzionale che permette di mantenere l’Europa divisa in Stati nazionali, dietro la maschera dell’integrazione economica, delle istituzioni europee, delle elezioni europee, del rituale dei vertici, della retorica proeuropea dei partiti.
Il supposto successo della Convenzione contrapposto al fallimento della Conferenza intergovernativa è in realtà solo apparente. La verità è che la Convenzione ha fallito nel tentativo di dare all’Europa una pur debole Costituzione mentre i governi nazionali hanno avuto successo nel mantenere l’Unione divisa. Il destino della bozza di Costituzione ricorda che nemo dat quod non habet: la Convenzione non poteva disporre di un potere che non possiede. Essa non poteva elaborare una Costituzione per fare dell’Unione una federazione (che oggi la maggioranza dei paesi dell’Unione non vuole), ma poteva al massimo ten tare di dare una Costituzione al l’Unione divisa di oggi, come ha fatto, senza però essere poi capace di ottenere il consenso dei governi. La realtà è che l’Unione si trova oggi davanti non a un problema di metodo (intergovernativo contrapposto a convenzionale/costituzionale) per unire l’Europa, ma pri ma di tutto davanti a un problema di quadro nel quale l’Europa si possa unire. Con un metodo o con un altro non si può trasformare un’Unione strutturalmente divisa in una federazione: nel quadro dell’Unione non solo i paesi contrari mantengono un potere d’interdizione praticamente insormontabile, ma la stessa volontà dei paesi potenzialmente favorevoli non emerge, si disperde davanti alle difficoltà, cede al compromesso, ripiega al massi mo sul tentativo di dar vita a uno o più direttori per cercare di governare questo o quel settore.
Alcuni ritengono che dopo Bruxelles il processo di unificazione europea possa essere rilanciato facendo perno sulla richiesta che (a) la bozza di Costituzione sia approvata al più presto da quei paesi che lo vogliono; (b) i partiti europei si impegnino per fare del le elezioni europee il momento della scelta del Presidente della Commissione per accelerare la trasformazione della Commissione in un governo europeo; e (c) il prossimo Parlamento europeo av vii un’iniziativa per convocare al più presto una nuova Convenzione con un mandato costituente. Se le considerazioni fatte finora sono fondate, nulla di tutto ciò accadrà.
Scelte di rottura sono possibili solo sui grandi disegni, non certo su una bozza di Costituzione or mai svuotata. Alla resa dei conti, nessun paese oggi romperebbe l’Unione sulla scelta tra la bozza di Costituzione cosi com’è e come lo sarebbe senza il punto conte so del sistema di voto. La riluttanza subito dichiarata da Italia e Lussemburgo è un segno chiaro.
E se anche mai questa volontà ci fosse in alcuni paesi, la Costituzione europea nei fatti intende modificare Trattati esistenti e potrà quindi essere approvata solo se tutti i governi degli Stati membri dell’Unione la sottoscriveranno (anche se poi la successiva ratifica potrebbe essere non unanime). Se un accordo nei prossimi mesi ci sarà, questo sarà unanime e sarà su una Costituzione ulteriormente svuotata. Quanto alle imminenti elezioni europee, esse rischiano di essere poco più di una rappresentazione: partiti europei che non sono veri partiti (ma la somma di partiti nazionali con pochissime posizioni condivise) chiedono sulla base di un programma che non è un vero programma (perché non c’è nessun governo che lo possa attuare) un voto per un parlamento che non è un par lamento (perché non esprime un governo né una polita). Infine, quanto alla possibilità’ di una nuova Convenzione costituente, è or mai solo questione di buonsenso capire che un mandato costituente è possibile solo tra paesi che hanno deciso, almeno potenzialmente, di costituire qualcosa, non tra paesi che hanno incompatibili visioni sul proprio futuro. Ogni nuova Convenzione nascerebbe e morirebbe nelle stesse contraddizioni della prima.
Esiste un’alternativa? E’ drammaticamente possibile che la risposta sia no. E’ possibile che l’annacquamento dell’Unione, le differenti visioni tra i governi, la fiacchezza delle classi politiche, il torpore dei cittadini, e in fondo il relativo benessere dell’Europa, siano tali che nessuno capisca più la necessità, e la possibilità, di creare una Federazione europea.
Ma se esiste un pur debole speranza che l’unificazione europea non si avvii verso la stagnazione e la regressione, questa speranza è affidata alla possibilità che la Francia e la Germania (e intorno ad essi gli altri paesi fondatori) si rendano conto che l’unica alternativa alla divisione dell’Europa e alla sua marginalizzazione mondiale è la creazione di uno Stato federale e che l’unico modo per fare ciò è andare oltre l’Unione. Le dichiara zioni della Francia e della Germania, prima e dopo la Conferenza, sulla possibilità di creare un’Europa a due velocità come alternativa al fallimento della Conferenza, e il loro atteggiamento durante la guerra all’Iraq, sono il segno che un barlume di consapevolezza esiste (perché i paesi che han no avviato l’integrazione europea sentono oggi il peso maggiore della sua disunione), ma mostra no anche che essi sono ben lontani dall’identificare un disegno alto (lo Stato federale), il qua dro in cui questo è possibile (un nucleo, dentro o oltre l’Unione) e un metodo (un patto-trattato federale tra essi, aperto a successive adesioni, e un manda to costituente a un’Assemblea costituente per elaborarne la Costituzione). Su questo dovrebbe far perno la strategia dei federalisti nei prossimi mesi.