Che fare? La domanda sorge spontanea di fronte al recente ed infuocato dibattito sull’installazione di una base antimissilistica statunitense in Polonia. Il progetto che prevede la costruzione di un sistema militare per la difesa di una parte dei paesi europei (l’Italia inizialmente era esclusa dal progetto) sta creando spaccature tra i singoli governi nazionali europei, divisi tra di loro sulla visione dei rapporti da coltivare con gi Stati Uniti e la Russia e sul futuro stesso dell’Unione europea.
Lo “scudo missilistico” consiste in un insieme di installazioni militari in alcuni paesi dell’Europa orientale recentemente entrati nell’UE e nella NATO. Il progetto prevede una vera e propria base operativa in Polonia e altre 10 basi con lanciatori di razzi intercettori per colpire missili balistici nemici in volo, una serie di aeroporti dell’aviazione polacca forniti di nuovi caccia F16 di fabbricazione americana e un centro di rilevamento radar a Jince, in Repubblica Ceca, al confine con la Germania.
La versione ufficiale del governo americano parla di “difesa da possibili attacchi da parte della Repubblica Islamica d’Iran”, la quale potrebbe (forse) lanciare in un (forse) prossimo futuro missili balistici contro le città degli USA, seguendo la rotta polare. Chiunque, guardando un planisfero, si accorgerebbe che questa tesi è alquanto improbabile, perché la “rotta polare” non è sicuramente la più agevole per un lancio di ICBM da una regione geografica come quella dell’Iran.
Di questo fatto si sono accorti i militari e il governo russo, che, dopo la visita a Mosca del capo del Pentagono Robert Gates, hanno dichiarato, per voce del capo di Stato maggiore della Federazione Russa Yuri Baluyevsky: “Se queste installazioni costituiranno una minaccia alla sicurezza della Russia, saranno oggetto di piani da parte delle nostre forze. Di tipo strategico, nucleare o altro, poi, è una questione tecnica”.
Anche la reazione diplomatica di Putin non si è fatta attendere. Il presidente russo ha subito puntato il dito contro la potenza americana e ha minacciato di denunciare il Trattato sulle armi convenzionali in Europa (il CFE del 1990), che dall’epoca di Gorbaciov e Reagan limita il numero di armi convenzionali sul continente.
La ferma reazione della Russia di fronte al progetto statunitense si comprende bene alla luce della fitta rete di accordi e alleanze internazionali che si stanno sviluppando recentemente. Il paese infatti si trova minacciato a sudest dall’espansione dell’influenza dei paesi asiatici (la Cina, in primis), che mirano ad accaparrarsi l’attenzione delle ex-repubbliche sovietiche dell’Asia centrale e del Caucaso; e ad ovest dalla presenza americana in Europa, che ha già inglobato nella NATO i paesi orientali e si prepara ad accogliere l’Ucraina e la Georgia, il cui ingresso nell’alleanza è già stato approvato dal Congresso degli Stati Uniti.
Gli interessi degli americani per un’operazione del genere sono molto forti, alla luce soprattutto della politica estera del governo Bush. Non sembra poterli fermare né la reazione russa, né lo sforzo economico che tale progetto richiede, né il generale senso di malcontento (proteste da parte di vari paesi europei e della stessa popolazione polacca, generalmente entusiasta delle politiche americane) che questo piano suscita. Di fronte alle incognite dei nuovi rapporti di forza che si vanno delineando a livello mondiale, gli Stati Uniti sono determinati a difendere un primato militare che per essere mantenuto deve passare attraverso la corsa al riarmo spaziale.
In tale clima da guerra fredda (non a caso la Pravda, il principale quotidiano russo, ha paragonato questo diverbio alla lunga ed estenuante contesa tra l’URSS e gli USA), che rischia di portare ad un’involuzione dello scenario politico globale, l’Europa si presenta ancora una volta divisa e incapace di dare una risposta univoca e responsabile. Si assiste solo a timide reazioni da parte delle singole parti interessate, più spesso a taciti consensi: in primis si potrebbe nominare la Polonia di Jaroslaw Kaczyñski, che non a caso si è offerta per l’installazione dell’impianto militare, ribadendo simbolicamente il suo euroscetticismo, se non addirittura la sua opposizione a un’Europa più forte politicamente. I paesi dell’area mitteleuropea che confinano con le aree interessate dal progetto, Germania e Austria in particolare, non si sono azzardati a prendere una posizione autonoma che potesse provocare lo scontento degli statunitensi, limitandosi al ruolo di spettatori. L’Italia infine, inizialmente esclusa dal progetto antimissilistico, dopo deboli proteste da parte della nostra diplomazia è stata inserita nell’elenco dei paesi “protetti” dallo scudo americano, e non ha nemmeno provato a proporre ai partner continentali un’iniziativa più responsabile o politicamente matura.
Questa totale incapacità di assumersi le proprie responsabilità rischia di costare molto cara agli europei. Il nostro continente torna ad essere un’area di cui le potenze esterne cercano di spartirsi l’influenza e il vuoto di potere causato dall’assenza di una politica estera unica europea, attuata da un governo dotato dei mezzi necessari per intraprenderla, mette a repentaglio il nostro futuro.
Se invece, a fronte di un ritorno alla tensione nei rapporti USARussia ci fosse un’Europa capace di badare a sé stessa, forte dei suoi mezzi, delle sue conoscenze e della sua volontà, gli stessi rapporti tra i due paesi sarebbero diversi proprio perché verrebbe a mancare l’oggetto del contendere. Anche sotto questo profilo, emerge quindi l’importanza della responsabilità che la nostra politica deve assumersi. Solo la soluzione federale riuscirebbe a garantire la costruzione di un equilibrio stabile, che permetterebbe di salvaguardare gli interessi degli europei. Per questo ogni cittadino si dovrebbe sentire in dovere morale di appoggiare e di richiedere gli Stati Uniti d’Europa, che non potranno nascere da un’evoluzione delle attuali istituzioni dell’Unione europea, ma solo dall’iniziativa di un’avanguardia di paesi che sottoscriveranno un “patto federale”aperto a tutti i paesi europei che vorranno aderirvi.