KARL LAMERS, già portavoce al Bundestag del gruppo CDU per la politica estera

“I referendum francese e olandese hanno dato la certezza che approfondimento e allargamento contemporanei sono inconciliabili e diventeranno sempre più inconciliabili, quanti più paesi, e paesi meno omogenei, entreranno.

Ma poiché l’approfondimento alla fine non significa altro che sviluppo di una Unione Politica, la reale alternativa non è tra tutti e nessuno, ma al contrario, o con quei paesi che vogliono e possono, oppure niente. Se essi non formano il nucleo di una Unione politica, questa visione si dissolverà come la fata Morgana.

Francia e Olanda appartengono (malgrado il loro rifiuto della Costituzione e la loro attuale debolezza economica) a quella parte dell’Unione che anche dopo l’allargamento dispone di gran lunga del più grande potenziale economico, politico e culturale, e che costituisce il nucleodefacto. A questo [nucleo] appartengono anche la Germania, il Belgio, il Lussemburgo, la Spagna e potenzialmente (ossia dopo Berlusconi) l’Italia, e forse anche l’uno o l’altro paese che abbia come loro la necessaria misura di consenso interno e la medesima idea del futuro assetto dell’Europa. Solo in tale ristretta Unione di quelli che si sentono più vicini e reciprocamente fiduciosi, può essere superato quel senso di eccessiva vastità [dell’Unione] e di estraneità che è emerso nei Referendum e si può sviluppare quella forza di attrazione che tenga unito tutto l’insieme [dell’Unione]. … .

Il nucleo deve essere forte, ma non chiuso, bensì aperto principalmente a coloro che perseguono lo stesso fine e non vogliono entrare [solo] per ostacolarlo. I paesi del nucleo devono mostrare [agli altri] e sperimentare [per primi] che cosa intendono per Europa politica.

L’Europa non può essere solamente costruita sull’economia. Nel 1954 l’Assemblée nationale respinse il trattato di difesa comune, cioè un esercito europeo. Questo portò tre anni dopo al Trattato di Roma, ossia a tentare di unire l’Europa attraverso l’economia. Questo non basta, come vediamo. Perciò bisogna oggi fare il percorso al contrario: la creazione di un esercito europeo quale espressione e catalizzatore di una politica estera comune. Ciò che oggi c’è già in questo campo è positivo, ma non merita il nome di esercito. Certamente non tutti sono d’accordo a partecipare subito, e del resto sarebbe troppo complicato e pericoloso. Un tale progetto costituirebbe per il [potenziale] nucleo dell’Unione Europea una sfida capace di imporsi, un segnale di grande efficacia. Esso farebbe avanzare l’Europa nel suo insieme, tanto più che in casi concreti sarebbe cosa ovvia la cooperazione di questo esercito con le forze militari degli altri paesi membri dell’Unione.

Un tale programma si può realizzare, oggi come sempre, solo attraverso la cooperazione franco-tedesca. Francia e Germania sono proprio il nucleo del nucleo e rimangono tali anche dopo il no francese. Ma poiché la

Francia è indebolita dopo questo no, il nuovo Governo tedesco, dopo le elezioni, deve prendere l’iniziativa con tanto più vigore, dato che ha la posizione più forte in Europa. In questo modo raccoglierebbe l’incitamento del presidente de Villepin per una “ Unione nell’Unione”.

(Internationale Politik, luglio 2005 )

PHILIPPE DOUSTEBLAZY, Ministro degli esteri della Francia

“La sola soluzione per poter affermare un progetto europeo, consiste nel definire quale Europa vogliamo… Ora, quale Europa vogliamo? Quella dei padri fondatori. L’Europa non si farà in un solo colpo, a venticinque, ventotto, trenta paesi. Occorre tornare alle idee di Lamers, Delors, Juppe, Balladur: occorre che emerga un gruppo in seno ai venticinque

(Entretien du Ministre avec LCI, 22 settembre 2005)

Il Ministro degli affari esteri vuole rilanciare l’idea di un’avanguardia in seno all’Unione europea… Egli considera che il rilancio della costruzione europea debba passare attraverso la creazione al di fuori dei trattati esistenti di un gruppo di Paesi deciso ad avanzare più degli altri nel processo di integrazione… Philippe DousteBlazy riprende l’idea del nucleo duro senza usare questa espressione e senza definire il numero degli Stati convolti che “dovranno essere animati dallo stesso progetto comune e dalle stesse ambizioni di diventare avanguardia e polo d’attrazione… . L’integrazione dovrebbe andare oltre le cooperazioni rafforzate previste dal Trattato di Nizza e riprese e ampliate nel progetto di Costituzione europea sul terreno della difesa, della politica estera, della ricerca, della politica di bilancio e fiscale. L’avanguardia si distinguerà dall’Europa a geometria variabile in quanto ci sarà un gruppo stabile di paesi che parteciperà a tutte le politiche integrate”. Questa “piccola casa”nella “grande casa”,

per riprendere l’espressione impiegata dal Ministro, risolverebbe il problema delle frontiere dell’Europa.: i nuovi paesi che non potranno rispondere ai criteri di partecipazione alla “piccola casa”potranno essere accolti nell’insieme più ampio e meno vincolante della “grande casa”.

(Le Monde, 24 settembre 2005)

JEANMARIE LE BRETON, già ambasciatore della Repubblica francese

“Il metodo Monnet ha funzionato molto bene fino a quando si è trattato di instaurare un’unione doganale, le regole della concorrenza, in breve un mercato unico. Ha incominciato a mostrare i suoi limiti con la moneta unica, abbandonata a se stessa in assenza di una ferma volontà politica. E’del tutto insufficiente nel momento in cui si giunge al cuore del problema della sovranità, cioè quando si pone il problema della politica estera e della difesa. Giunti a questo punto ci sono solo due formule possibili: la coalizione o l’integrazione. In una coalizione gli Stati non rinunciano alla propria sovranità: essi possono in qualunque momento esercitarla. La storia europea abbonda di esempi di coalizioni che avrebbero dovuto durare nel tempo e che si sono sciolte… ..

L’altra formula, quella della federazione, è irreversibile… Nel mondo attuale la Francia e la Germania non possono più esprimere la propria volontà o affermare la loro indipendenza al di fuori di un’unione federale… Malgrado il ritorno della prosperità, malgrado le nuove illusioni, è necessario constatare che l’Europa non è stata capace di recuperare la propria indipendenza e questo si è dimostrato ancor più vero all’indomani della crisi irachena con la manifestazione degli “Stati disuniti d’Europa”. E’facile prevedere che questo stato di cose proseguirà e si aggraverà. La divisione provocata da questo conflitto, e quella che si è manifestata con lo scacco della “costituzione europea”, le riaffermazioni egoiste e miopi dei nemici di ogni trasferimento della sovranità nazionale non possono che aver rassicurato gli Stati Uniti. Questa Europa non può dar fastidio agli Stati Uniti. Tuttavia, se gli Stati fondatori vogliono ancora che il loro destino dipenda dagli accordi presi liberamente tra di loro e che non sia deciso a Washington da una “Commissione americana”, come temeva Paul Valéry e forse domani a Mosca o a Tokio, una sola via resta possibile: quella di negoziare un Patto federale… La riconciliazione francotedesca è stata il primo passo verso l’unione di questi due Stati che dovrebbe permettere loro di riprendersi in mano il loro destino. Il mondo è cambiato. Non è più l’Europa che lo governa. Sono gli Stati Uniti a giocare un ruolo di primo pianno insieme ad altri grandi attori che si profilano all’orizzonte. L’Europa rimarrà assente?”

(“La défense des «Étatsdésunis» d’Europe”, in Défénse nationale et sécurité collective, dicembre 2005)

GUY VERHOFSTADT, Primo ministro del Belgio

L’unificazione europea è stata un progetto promettente. Ma oggi l’Unione europea è politicamente divisa ed economicamente indebolita… .

Se l’Europa intende avere un ruolo in futuro, deve integrarsi molto di più. Solo gli Stati Uniti d’Europa potrebbero agire in modo decisivo nei confronti delle sfide che abbiamo di fronte e venire incontro aqlle aspettative dei cittadini. Per questo dobbiamo cambiare direzione…

Solo se l’Europa adotta un approccio unitario nei confronti di specifici settori, conterà come attore mondiale. Sarebbe preferibile che tutti gli Stati membri dell’Unione facessero parte degli Stati Uniti d’EUropa, ma se ciò si rivelasse impossibile, almeno tutti i paesi che hanno già adottato l’euro più quelli che lo faranno in breve tempo, dovrebbero mobilitarsi per questo obiettivo. In un simile scenario l’Europa comprenderbbe due cerchi concentrici: un nucleo politico, gli Stati Uniti d’Europa della zona dell’euro, e la più ampia confederazione costituita dall’organizzazione degli Stati europei…

La creazione degli Stati Uniti d’Europa è la sola opzione che resta alla vecchia Europa. Dopo tutto, non ha senso chiuderci in noi stessi e litigare sulla strada da prendere mentre gli altri continenti ci sopravanzano. Abbiamo di fronte a noi una chiara scelta: possiamo continuare a non fare niente e rimanere emerginati, o possiamo imboccare la strada della riforma e diventare un attore attivo. Per questo suggerisco di optare per la creazione degli Stati Uniti d’Europa.

(Forging ‘United States of Europe’is key to the future, 1 dicembre 2005)

 

 

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