Da oltre mezzo secolo gli europei sono di fronte alla scelta fra rimanere degli impotenti spettatori di tragedie destinate prima o poi a travolgerli, o diventare degli attori internazionali credibili.

A fronte della situazione internazionale che si è venuta a creare all’indomani della sospensione dell’ennesimo conflitto araboisraeliano in Libano, due punti di vista infondati ma largamente condivisi alimentano analisi fuorvianti che impediscono di comprendere sia quanto sta accadendo, sia le sfide reali che si profilano per la politica mondiale nei prossimi decenni. Il primo punto di vista riguarda la vera natura del conflitto in atto, il secondo il ruolo effettivo che possono assumere l’ONU e l’Unione europea negli attuali equilibri internazionali.

Per quanto riguarda il primo, basti osservare che il pluridecennale conflitto araboisraeliano è ormai diventato parte integrante di una prova di forza che vede sempre più coinvolti tutti gli Stati della regione per affermare la propria leadership. Questa lotta, un tempo inquadrata e in un certo senso contenuta dal confronto bipolare, si è estesa. Essa non è governabile nemmeno dagli USA, che pure hanno deciso di intervenire direttamente negli equilibri regionali, assumendosi e creando ulteriori enormi rischi. E’un dato di fatto che sul piano geografico l’area interessata dalle tensioni mediorientali, sostanzialmente limitata ad Israele ed ai suoi immediati confini solo un quarto di secolo fa, si estende oggi dall’Egitto all’Afghanistan. In questa area l’aumento dell’interdipendenza tra gli Stati sta assumendo i contorni di una crescente instabilità alimentata da numerosi fattori: la politica di potenza perseguita da più Paesi anche attraverso la corsa agli armamenti nucleari; la disintegrazione di diversi Stati, dall’Afghanistan all’Irak al Libano e ai territori palestinesi, con il conseguente radicamento del terrorismo e delle fazioni violente ed estremiste; l’affacciarsi ai confini di questa regione di Paesi deboli e instabili come le ex-repubbliche sovietiche; l’importanza strategica della regione dal punto di vista delle risorse energetiche.

Per quanto riguarda il secondo punto di vista, è semplicemente fuori luogo parlare di successo dell’ONU e dell’Europa o di qualcuno dei paesi europei nella momentanea sospensione delle ostilità in Libano . L’ONU e gli europei hanno tutt’al più assecondato la decisione dei contendenti diretti e dei loro alleati – IsraeleUSA da una parte e HezbollahIran dall’altra – di sospendere un conflitto che rischiava ormai di logorarli senza che ci fosse alcun vincitore. Soprattutto per questo, e per il fatto che gli altri attori non erano pronti, non volevano o non potevano in quel momento spingersi oltre, l’ONU e i paesi europei hanno potuto inserirsi nelle trattative e rilanciare una missione multinazionale in Libano che fino a pochi mesi prima si era dimostrata totalmente inadeguata.

La tregua in Medio-Oriente non deve infatti farci dimenticare che gli organismi internazionali e la stessa Unione europea, che si fondano sul rispetto della sovranità dei loro membri, possono solo dare l’impressione di affrontare crisi come queste, ma non possono in realtà risolverle, perché non hanno né il potere, né i mezzi per farlo. D’altra parte l’attuale multipolarismo basato su USA, Cina, Russia ed India, a causa delle enormi contraddizioni e squilibri in cui questi Stati si dibattono al loro interno e che caratterizzano i loro rapporti bilaterali, non è in grado né di prevenire lo scoppio di crisi analoghe, né di garantire la pacificazione del Grande Medio Oriente. Gli attuali poli mondiali non sono nemmeno in grado di avviare un’iniziativa per creare le premesse di un governo mondiale cooperativo di transizione verso future forme più solide e durature di integrazione mondiale.

La conclusione è che oggi come all’indomani della fine della seconda guerra mondiale solo l’ingresso sulla scena internazionale di un nuovo polo, ispirato al modello della federazione di Stati e non semplicemente a quello della cooperazione, già fallito alla prova dei fatti nel corso dell’ultimo secolo, potrebbe modificare radicalmente il quadro e introdurre nel corso della storia il seme dell’unificazione. Per questo limitarsi ad assumere o sostenere punti di vista come quelli che abbiamo sopra criticato non può che servire a nascondere o mascherare l’impotenza e l’assenza di prospettive politiche che caratterizzano oggi l’Occidente, e in particolare gli USA ed i paesi europei.

Per quanto riguarda il nostro continente, da dove dovrebbero cominciare questi ultimi per contribuire ad invertire la rotta? Da oltre mezzo secolo gli europei sono di fronte alla scelta fra rimanere degli impotenti spettatori di tragedie destinate prima o poi a travolgerli, o diventare degli attori internazionali credibili.

Finora non hanno voluto percorrere quest’ultima strada, perché ciò implicherebbe decidere di superare la dimensione nazionale dello Stato e fondare un nucleo di Stato federale europeo sovrano nel campo della politica estera e di difesa. Ma se non maturerà la consapevolezza della necessità di un simile salto, almeno tra gli Stati fondatori, i cittadini francesi, tedeschi o italiani, dovranno rassegnarsi a restare sul terreno delle buone intenzioni pacifiste, della semplice professione di fede europeista e della sudditanza de facto nei confronti delle scelte della potenza regionale o globale di turno.

 

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