L’anno appena terminato è stato denso di avvenimenti drammatici che hanno investito l’Europa con una violenza che scuote le fondamenta della costruzione comunitaria.
Sulle pagine di Alternativa europea abbiamo già cercato di analizzarne a valutarne alcuni, dalla crisi greca, all’emergenza umanitaria dei rifugiati e dei migranti, agli attacchi terroristici di Parigi. In queste ultime settimane stiamo addirittura assistendo alla crisi del sistema di Schengen, a causa dell'incapacità dei governi nazionali di costruire strumenti europei di controllo e di condivisione dei flussi; in questo modo, quella che sembrava una conquista ormai definitiva dell’Europa, è minacciata dalla progressiva chiusura delle frontiere da parte di un numero sempre maggiore di paesi, con rischi enormi addirittura per la tenuta dello stesso mercato unico.
Infine, in dicembre, sempre dalla Francia, è arrivato un ulteriore segnale che rivela la fragilità della condizione in cui versano oggi l’Unione europea e i suoi Stati membri. Si tratta del risultato elettorale del Front national alle elezioni regionali, impressionante per le sue dimensioni. Anche se i danni sono stati contenuti grazie al secondo turno, sarebbe totalmente irresponsabile sottovalutarlo. Come dimostrano il caso ungherese e quello polacco, ma per certi versi anche quello spagnolo, la crescita dei movimenti populisti e del nazionalismo antieuropeo rappresenta ormai al tempo stesso il sintomo della crisi della democrazia in cui stiamo sprofondando, e la minaccia più grave alla possibilità di trovare le giuste soluzioni.
Sotto questo aspetto il caso francese, anche se il consenso che continua a guadagnare Marine Le Pen presenta sicuramente delle sue specificità, rispecchia (e, oltretutto, rafforza) le contraddizioni in cui si dibatte l’intera Europa, e pertanto va inquadrato sotto questa luce.
Quello che appare evidente è che gli europei stanno pagando, in questi ultimi anni, il prezzo della loro incapacità di attrezzarsi politicamente e culturalmente per fronteggiare il fenomeno nuovo della globalizzazione. E’ dalla fine della Guerra fredda che l’Europa non accetta di vedere e affrontare le sfide e i rischi insiti nel nuovo quadro mondiale: non ha saputo dotarsi degli strumenti per diventare autonoma dagli americani sul piano della politica estera e di sicurezza; ha usato l’occasione dell’allargamento ai paesi dell’Europa centro-orientale per diluire la propria identità, fondata su un progetto innanzitutto politico che invece è stato accantonato, e ha iniziato ad alimentare il risveglio del nazionalismo; non è riuscita ad ancorare la riunificazione tedesca ad un quadro europeo politicamente solido; è stata colta impreparata dalla competizione globale innescata sia dall’egemonia americana post-Guerra fredda, sia da un cambiamento di paradigma tecnologico che crea – e costringe a – profonde trasformazioni.
Per questo lo scontro politico, oggi, in Francia come in ogni altro paese europeo, non riguarda più tanto la scelta tra politiche di destra e di sinistra, ma tra politiche tendenti a frenare la globalizzazione e politiche tendenti ad attrezzare il paese per trarre dalla globalizzazione tutti i possibili vantaggi con il minimo costo; politiche che cercano di affrontare le sfide mondiali del XXI secolo, e politiche che sperano di poter tenere tali sfide fuori dai propri confini nazionali. Lo ricordava bene Piero Ichino sulle pagine de Il Foglio il 9 dicembre sorso. Da una parte ci sono le politiche tendenti alla difesa delle sovranità nazionali, al ritorno alle vecchie frontiere fortificate, alla difesa dell’identità, alla protezione di imprese e lavoratori indigeni contro la concorrenza di chi viene da fuori, all’economia del “chilometro zero”; dall’altra le politiche tendenti, innanzitutto, alla costruzione di un ordinamento sovranazionale continentale, quindi alle riforme interne per rendere possibile l’integrazione europea, tendenti inoltre a favorire l’afflusso di investimenti stranieri come portatori di innovazione tecnologica, lo scambio culturale, la mobilità delle persone, dei beni, dei servizi. “A ben vedere, la costruzione della nuova Unione europea non è altro che il primo capitolo della politica di chi vuole aprirsi alla sfida della globalizzazione e si sente in grado di vincerla. Viceversa, il rifiuto di questa prospettiva costituisce il primo capitolo della politica di chi quella sfida la respinge, vedendone come prevalenti i rischi e i costi”.
Quando è esplosa la crisi dei debiti sovrani e l’area euro ha fortemente rischiato di disgregarsi, l'Europa ha trovato la forza di resistere grazie soprattutto alla paura. È stata la coscienza della catastrofe che la fine dell'unione monetaria (e dell’Unione europea) avrebbe comportato a spingere i governi nazionali a creare gli strumenti di condivisione e di solidarietà, indispensabili per rafforzare la capacità di resistenza della moneta unica. Ma la paura non è stata, e forse non è, sufficiente per fare il salto necessario per rendere politicamente irreversibile la costruzione europea, permettendole anche di esprimere tutte le sue potenzialità; e questo nonostante la natura istituzionale di tale salto sia ormai chiaramente riconosciuta, tanto che le istituzioni europee a più riprese lo hanno delineato. Per compiere un passaggio epocale di questa natura servono il riconoscimento e la presa di coscienza del valore e della profonda verità insiti nel progetto federale e federalista nato in Europa; e la consapevolezza della drammatica alternativa di civiltà costituita dalla sconfitta di tale progetto.
Ogni contributo intellettuale, politico, morale dato a questa battaglia è essenziale, ed è un compito che investe tutti, dai giovani che su questo decidono la loro vita, ai cittadini, alla società civile, alla classe politica, agli studiosi. Il Movimento federalista, grazie al lavoro intellettuale e politico di Spinelli e Albertini, e alla forza dei suoi militanti che ne hanno tenuti vivi lo spirito e i contenuti, ha un patrimonio di idee e di esperienze che è prezioso in questa fase. La nostra responsabilità è di cercare di esserne portatori nel modo più efficace.