Quante vittime dobbiamo ancora piangere in Europa prima che gli Stati nazionali riconoscano la loro impotenza e accettino di creare gli strumenti europei per proteggere la sicurezza dei cittadini?

Dimitris Avramopoulos, il Commissario europeo all’immigrazione e agli affari interni, commentando gli attacchi terroristici dei giorni scorsi a Bruxelles, lo ha detto espressamente:  “l’epoca delle politiche nazionali è finita”. E come lui, tantissimi altri politici e commentatori hanno sottolineato come i singoli paesi europei non siano in grado di fronteggiare le minacce esterne ed interne alla sicurezza e come sia necessario agire insieme a livello europeo.

Allora perché alle parole non seguono i fatti? Perché questa volta dovrebbe essere diverso rispetto al passato, quando dopo gli attentati e le minacce, calata la tensione emotiva, i progetti europei sono stati rimessi nel cassetto e si è preteso di procedere ciascuno secondo le vecchie logiche? Risale al 2001, agli attacchi alle Torri gemelle, il primo dei molti rapporti che la Commissione europea, sotto impulso del Consiglio, ossia degli stessi governi nazionali, ha preparato per indicare come creare operativamente una capacità di intelligence europea e integrare i sistemi di sicurezza nazionali. Ma non sono bastati neppure i fatti di Parigi di Charlie Hebdo, né quelli del Bataclan, a smuovere i singoli paesi, cui spetta la responsabilità e il compito di agire per costruire un sistema integrato europeo, dato che sono loro, ancora, i “sovrani”. Il risultato è stato che la rete terroristica si è rafforzata progressivamente, lasciandoci la certezza che la minaccia incomberà a lungo e sarà sempre più drammatica, se non ci svegliamo dal letargo.

Diventa allora chiaro come il primo problema che affligge gli europei risieda proprio nella pretesa di conservare la “sovranità” nazionale, ormai inutile e fasulla. Le sfide globali per la sicurezza, per lo sviluppo economico e per la conservazione del nostro modello sociale, fondato sul welfare richiedono risposte politiche autorevoli e forti: in politica estera, per intervenire attivamente a promuovere la stabilizzazione di tutta l’area mediorientale e nordafricana; nella gestione dei flussi migratori; per il controllo delle frontiere esterne e per perseguire la sicurezza interna; per rendere dinamica e competitiva la nostra economia e creare crescita e posti di lavoro; per sviluppare la ricerca e l’innovazione tecnologica. Chiunque capisce ed ammette che solo a livello europeo si possono promuovere tali politiche; ma questo non basta se non si aggiunge che tali politiche non partono se si pretende che siano il frutto di una cooperazione – per quanto coordinata a livello europeo – tra governi nazionali. Esse richiedono la nascita di un vero governo europeo: poteri, risorse, strumenti di intervento diretto e controllo democratico europei, ossia il salto istituzionale nel sistema federale. E’ la questione attorno cui si sta girando, con cerchi sempre più stretti, sin dalla nascita della Comunità europea. La drammaticità dei tempi e i cambiamenti profondi del mondo intorno a noi, pur accrescendo i pericoli e rendendo più forti i nemici dell’Europa, hanno portato al tempo stesso ad un’accelerazione in questa direzione, come dimostra il dibattito in corso per la creazione di un Ministro del tesoro europeo dotato di risorse e poteri effettivi, o i richiami di questi giorni alla nascita di un patto europeo per la sicurezza.

Gli strumenti sono pronti e conosciuti: nell’immediato bisogna partire con il rafforzamento del sistema di Schengen, attraverso il controllo congiunto delle frontiere esterne (inclusa la nascita di un corpo di guardia di frontiera e una guardia costiera europee, nonché di un’unica politica per l’immigrazione, l’asilo e il sostegno all’integrazione); bisogna sviluppare un’efficace forza di intelligence europea, trasformando Europol in una effettiva agenzia di polizia federale europea e rinforzando il Sistema di informazioni di Schengen (SIS); e occorre avviare le misure necessarie per impostare una vera politica estera e di sicurezza europea per rilanciare un piano che sia davvero credibile per la stabilità e lo sviluppo pacifico di aree come quella del Medio Oriente o del Nord Africa.

Tutto ciò implica, parallelamente, la necessità di fissare un calendario per il completamento in tempi definiti e brevi dell'unione politica europea; cosa che nessuno può più permettersi di ignorare o di bollare come “idea utopistica”, anche perché le proposte concrete sono ormai tutte sul tappeto e di queste si discute ormai continuamente nelle sedi europee e tra i governi.

Il problema allora è non perdere più tempo prezioso per la vita degli europei. Basta con la retorica e la paura, e, soprattutto, basta con il nazionalismo. E’ arrivato il momento di fare davvero l’Europa.

 

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