L’Italia del dopo-elezioni avrà davanti a sé sfide e possibilità nuove in un quadro europeo che è al tempo stesso in crisi e in movimento e nel quale sono affiorate in alcuni Paesi fondatori proposte interessanti di rilancio politico che possono riaprire i giochi: proposte da noi passate sotto silenzio in una campagna elettorale provinciale e deludente.

Una campagna elettorale che ha ignorato i temi della crescente impotenza dell’Europa nel nuovo quadro mondiale, del declino cui sembra andare incontro, del rischio di un futuro collasso dello stesso euro che è, e per ora rimane, una moneta senza Stato. E dell’urgenza di iniziative forti per rovesciare la situazione finché c’è tempo.

Certo, i dati di partenza non sono facili. Il nuovo governo si troverà a gestire un Paese che ha i suoi problemi ed è dentro una Unione europea che mostra sempre più la sua fragilità e le sue crepe proprio sul terreno di quella integrazione economico-politica che resta interesse vitale dell’Italia. Un’Italia che è sempre più l’anello debole della catena europea, il più esposto, tra i grandi Paesi dell’Unione, ai contraccolpi di un’eventuale crisi monetaria e finanziaria internazionale: anello debole che in futuro potrebbe persino doversi sganciare dall’area euro, con conseguenze disastrose (il “rischio Argentina” evocato dall’economista Nouriel Roubini non è del tutto da escludere); oppure potrebbe, ipotesi comunque allarmante, trascinare anche gli altri in una situazione molto difficile.

L’Italia ha bisogno dell’Europa, e viceversa. Allora guardiamo con realismo la situazione europea. La realtà oggi è quella di una Unione che per sopravvivere avrebbe bisogno di darsi un assetto federale e peraltro non può farlo nel quadro dei venticinque Stati membri (… nel suo quadro!), bensì in quello ristretto di un gruppo iniziale di Paesi (quelli più preparati dalla loro storia e dal loro grado di integrazione).

In questa logica è riaffiorata in Germania, Francia e Belgio la prospettiva di un nucleo di Stati che si strutturi in forme di più stretta unità e funga da avanguardia per tutta l’Unione. Le proposte in questo senso sono ancora minoritarie, ma espresse da personaggi autorevoli. Sono proposte forti, ma non prive di qualche ambiguità. Qui l’Italia potrebbe non solo inserirsi, ma esercitare un ruolo di stimolo e di chiarezza, come fece in passato in alcuni passaggi-chiave del processo di integrazione. E cito due esempi. Nell’unificazione monetaria l’Italia rafforzò in modo determinante il fronte che si opponeva al progetto di moneta comune coesistente con le monete nazionali, schierandosi senza esitazioni per la moneta unica. E agli inizi dell’integrazione, al tempo della CED, l’Italia per prima e da sola sostenne fra i Sei fondatori la necessità che l’esercito europeo fosse integrato in uno Stato europeo da costruire e così riuscì a imporre l’elaborazione di un progetto di Comunità politica. Ma la stessa Italia potrebbe anche, per insipienza se non per ostilità, costituire un freno all’unificazione: anche qui la storia insegna. Proprio l’esempio ora citato ci ricorda come il nostro Paese, uscito De Gasperi dal governo, si ripiegò su problemi nazionali e accantonò sine die la ratifica della CED, offrendo una copertura al ritardo francese: e questo doppio ritardo fu fatale al progetto che, cambiati di poco i rapporti di forza in Francia, non riuscì poi, per una manciata di voti, a ottenere la ratifica dell’Assemblea nazionale: così naufragarono insieme l’unificazione militare e quella politica.

Rivediamo allora molto sinteticamente le proposte di nucleo d’avanguardia oggi sul tappeto (riportate da questo periodico nel numero precedente). Innanzitutto c’è il tema di quali politiche dovrebbero essere messe in comune da un nucleo di Stati che fosse deciso ad unirsi. Il tedesco Karl Lamers, già autorevole consigliere del cancelliere Kohl per la politica europea, rievoca la CED e propone di unificare la politica estera e di difesa, aspetti centrali della sovranità e punti nevralgici per l’indipendenza dell’Europa. Il ministro degli esteri francese Douste-Blazy è dello stesso avviso ma aggiunge: la politica economica, la fiscalità e il bilancio, la politica della ricerca. Una completezza che sembra postulare istituzioni federali, cosa che però non emerge nella proposta del ministro: ambiguità dovuta a prudenza, o alla tradizionale resistenza francese al trasferimento di sovranità? Egli afferma che il nucleo deve essere creato “al di fuori dei trattati esistenti” (che in effetti non offrono spazi per iniziative del genere); e chiarisce che occorre andare al di là delle “cooperazioni rafforzate” regolate dal trattato di Nizza e delle “cooperazioni strutturate” che erano previste nel trattato costituzionale. Il ministro intende scartare le cooperazioni intergovernative e orientarsi verso la scelta federale? Non è chiaro.

Ma certamente “tertium non datur”, vie di mezzo non esistono. Il primo ministro belga Verhofstadt ha lanciato un suo Manifesto per una nuova Europa in cui parla di soluzione federale, ma non giunge a indicare nuove

istituzioni sovrane. Molto netto è invece, sia nell’analizzare i rapporti euroamericani e le motivazioni che spingono ad una difesa europea autonoma, sia nell’indicare la soluzione federale come l’unica realistica, è il saggio del politologo ed ex ambasciatore francese JeanMarie Le Breton, apparso lo scorso dicembre su un mensile autorevole qual è Défense nationale et sécurité collective, in cui egli propone un “patto federale”tra i Paesi fondatori.

È interessante notare che le quattro personalità citate distinguono nettamente la prospettiva di fondare un nucleo politico da quella di un possibile recupero del trattato costituzionale: essi sono convinti – come noi che recuperare il trattato può servire ad assestare meglio l’Unione a venticinque, non a favorire la nascita di un nucleo d’avanguardia.

Anche in Italia qualche voce si è alzata a favore di un rilancio europeo e di una iniziativa dei fondatori. Più di tutti lo ha detto, e ripetutamente, il presidente Ciampi; ma anche personalità politiche soprattutto (ma non solo) del centrosinistra. Forse dunque ci sono in Italia le premesse per assumere con determinazione una politica volta alla creazione del nucleo federale. Ma avremo leader abbastanza lucidi e coraggiosi?

 

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