L’European Council on Foreign Relations ha redatto lo scorso novembre un interessante rapporto che analizza le relazioni politiche ed economiche tra Stati Uniti ed Unione europea e che mostra come siano diverse le aspettative, per quanto riguarda gli USA da un lato e gli Stati europei dall’altro, nei confronti dei rapporti transoceanici.

Come fanno notare gli autori del rapporto, lo statunitense Jeremy Shapiro e l’inglese Nick Witney, il mondo è entrato in una nuova era postamericana; la guerra fredda è terminata ormai da vent’anni e la crescente globalizzazione ha ridistribuito il potere dall’Occidente verso l’Est ed il Sud del mondo.

Di fronte a questo cambiamento storico gli Stati Uniti, pur rendendosi conto di non poter più esercitare un dominio incontrastato, sono tuttavia determinati a sfruttare lo status di unica potenza globale che ancora detengono, per realizzare una rete di alleanze (network of partnership) che li renda decisivi in tutte le aree del mondo (quella che Madeleine Albright definiva ”indispensable nation”). L’amministrazione di Obama, nel perseguire questo obiettivo, ha ripetutamente dichiarato di voler lavorare con chiunque possa aiutarla.

Questo nuovo approccio nel definire le priorità, allocare le risorse e indirizzare le azioni da parte degli Stati Uniti ha delle conseguenze importanti sull’Europa e sui rapporti tra le due sponde dell’Atlantico.

Nella sua prima visita in Europa il Presidente Obama ha infatti incitato l’Europa ad assumersi maggiori responsabilità sia verso se stessa che nei confronti dei problemi globali, e ha dichiarato: “Noi vogliamo forti alleati. Non stiamo cercando di essere padroni dell’Europa. Stiamo cercando di essere partner dell’Europa”. Di fatto, però, gli Stati europei, non sembrano voler tener conto del fatto che dopo il crollo del Muro di Berlino l’orientamento americao è cambiato, ed è in ulteriore evoluzione, e continuano ad impostare i loro rapporti con gli Stati Uniti sulla base di convinzioni che risultano totalmente illusorie.

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Gli europei sono convinti che Europa e Stati Uniti condividano gli stessi interessi fondamentali e, in particolare, che gli Stati Uniti abbiano un interesse vitale a garantire la sicurezza dell’Europa. Mantenere rapporti politici armoniosi con gli USA assume perciò, per gli europei, un’importanza strategica. Dal loro legame con gli USA i governi degli Stati europei si aspettano un trattamento preferenziale da far valere non solo nel contesto internazionale, ma anche nella competizione con i vicini. Ne segue che ciascun Stato europeo ricerca una “relazione speciale” con gli Stati Uniti, almeno nelle aree più importanti per i propri interessi nazionali, convinto di ottenere maggiori vantaggi rispetto ad un approccio collettivo. Negli ultimi tempi, però, le occasioni di incomprensione non sono mancate, e tra queste la guerra in Iraq ha costituito il caso più grave. In generale, dal punto di vista di Washington, gli europei si comportano in modo infantile, cercando attenzioni e sottraendosi alle proprie responsabilità. Inoltre l’Europa ha perso ormai il valore strategico di un tempo e quindi gli americani tendono a rapportarsi con gli europei sulla base dei risultati immediati che pensano di poter ottenere.

Secondo l’analisi dell’European Council on Foreign Relations, gli USA utilizzano quattro diverse tattiche per trattare con l’Europa. Nei rapporti con la Cina, in cui l’Europa non ha un ruolo importante, quest’ultima viene generalmente ignorata. Nelle questioni che riguardano l’Iraq e il Medio Oriente, in cui potrebbe giocare un ruolo importante, ma esiste una forte opposizione interna, l’Europa viene marginalizzata. Per quanto attiene all’Afghanistan e all’Iran, rispetto ai quali l’America trova facile consenso tra gli europei, l’Europa viene coinvolta attraverso il canale più utile – la NATO, l’UE o associazioni create ad hoc – con l’obiettivo di ottenere il miglior risultato per l’America. Nei rapporti con la Russia, invece, rispetto ai quali l’Europa è cruciale, ma su cui non riesce a trovare un consenso unanime, l’approccio usuale dell’America è quello di giocare sulle divisioni degli Stati europei, e accrescerle, per far prevalere le proprie politiche.

Il caso dell’Afghanistan è riportato come una dimostrazione esemplare del fallimento dei governi europei rispetto al fatto di assumersi la responsabilità di un conflitto che è vitale per la loro sicurezza. Fino al 2008, gli europei hanno speso nel loro insieme in Afghanistan praticamente quanto gli Stati Uniti (4.7 miliardi di dollari contro 5 miliardi di dollari). In quello stesso anno gli europei hanno anche inviato più truppe degli americani, arrivando a costituire il 37% delle forze estere in Afghanistan (contro il 54% degli Stati Uniti). Tuttavia gli Stati europei hanno avuto un’influenza minima sull’evoluzione delle strategie in Afghanistan. I governi europei hanno di fatto giudicato più importante il loro rapporto bilaterale con Washington ed hanno continuato a considerare la campagna militare una responsabilità degli USA. Il risultato di questo comportamento è stata la perdita dell’appoggio dell’opinione pubblica e la dimostrazione dell’incapacità dell’Europa di essere il partner responsabile di cui gli USA hanno bisogno.

L’European Council on Foreign Relations prende anche in esame le relazioni tra l’Europa e gli USA nell’ambito delle questioni russa e mediorientale, giungendo a conclusioni simili.

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Eppure, in altri contesti, le relazioni tra l’Europa e gli Stati Uniti sono molto diverse. Il rapporto fa notare che “gli Stati membri dell’Unione europea, abituati a mettere insieme i loro interessi economici, non hanno difficoltà a trattare con l’America sulle questioni commerciali, i regolamenti e le pratiche competitive, da quel gigante economico che rappresentano collettivamente. In queste aree le relazioni transatlantiche sono robuste, persino combattive, e procurano in generale un mutuo vantaggio … Tuttavia nella politica estera e di difesa, gli Stati membri mantengono un forte senso di sovranità nazionale, partecipando alla NATO come alleati individuali e, nell’Unione europea, concedendo raramente al loro Alto Rappresentante, Javier Solana, la possibilità di agire”. Il risultato è “il fallimento dell’Europa nel rappresentare un effettivo attore della sicurezza internazionale”.

Sempre secondo il rapporto dell’European Council on Foreign Relations, “mentre esiste una crescente consapevolezza che trattare con successo con la Russia o la Cina richiede che gli Stati europei assumano una posizione comune, essi non riconoscono ancora che è necessario un approccio comune verso gli USA, anche fuori dalla sfera economica”. Sembra che tra gli Stati europei il tabù dell’autonomia nazionale si manifesti con più forza proprio nei confronti della potenza americana, dalla quale nel passato è dipesa la loro sopravvivenza e nei confronti della quale non riescono a cambiare mentalità.

Il rapporto dell’European Council on Foreign Relations, pur criticando questo atteggiamento e sostenendo che va contro gli interessi dell’America oltre che a quelli dell’Europa, tuttavia non è in grado di indicare una soluzione efficace per superarlo. Aggiungendo una voce al coro di chi chiede che l’Europa “parli con una sola voce”, propone che gli europei, in vista del summit annuale USAUE pianificato per fine maggio, “isolino due o tre argomenti su cui l’UE possa mettersi d’accordo” e che possa presentare agli USA come posizione comune. Il rapporto si spinge a suggerire le questioni dell’Afghanistan, della Russia, del Medio Oriente, dei cambiamenti climatici, della riforma della governance globale e della regolamentazione della finanza internazionale come i temi in cui gli europei possono avere una posizione autonoma e carte da giocare, e che quindi gli americani sarebbero interessati a discutere.

Sappiamo come è andata a finire: il primo febbraio Obama ha annunciato che non sarà presente al vertice euroamericano, per non ripetere le esperienze deludenti degli scorsi incontri. Il problema, dunque, è che, finché non si avvierà la fondazione di una vera Federazione europea, dotata di poteri e risorse tali da permetterle di sostituire le politiche estere nazionali, non c’è rappresentanza unica che tenga: gli Stati europei continueranno a procedere divisi e impotenti, e gli Stato Uniti si rassegneranno a trattare il nostro continente come uno strumento a disposizione delle loro scelte strategiche.

   

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