Parigi ha sconvolto il mondo intero. Pochi mesi dopo Charlie Hebdo, il terrore è esploso ancora. Il livello di allarme elevatissimo continua tuttora a scuotere la vita dei cittadini, e in molti casi dichiarazioni dettate dall'angoscia generano confusione ulteriore. 

Ma, sebbene sia facile in questi casi criticare i politici, non è di questo che vorrei parlare.

Desidero, invece, proporre una riflessione amara quanto, a mio parere, necessaria.

La reazione sociale è stata repentina e forte, ma lo scandalo non è scaturito dalla semplice costatazione di morte: ciò che più ha infiammato la pubblica coscienza è stata la violenza terroristica in sé, considerata totalmente estranea ai codici culturali europei, ed indirizzata proprio contro questi ultimi; anche per l’obiettivo scelto, Parigi, storico luogo di nascita della democrazia e della laicità.

Questa interpretazione è diventata immediatamente virale, e ha relegato in un angolo dubbi e domande: in qualche modo l’idea di essere un simbolo ha facilitato l'identificazione del colpevole.

Abbiamo, forse inconsciamente, operato una scelta selettiva all’interno di quello strumento fragile, che contrasta il potere corrosivo del tempo, della storia e del male che è la memoria.

Noi europei amiamo ripetere al mondo quanto democratici, aperti e progressisti siamo. Ma a volte non vogliamo accorgerci di rispolverare questi valori come dei cimeli.

Ammettiamolo: nel nostro passato esiste anche la tenebra, che tante volte cerchiamo di nascondere dietro il luccichio dei nostri principi. E se vogliamo davvero capire e far vivere i valori che amiamo della nostra civiltà, non possiamo mentire: perché “c'è un'impronta di morte, un sentore di caducità nella menzogna”, come sentenzierebbe Marlow, il celebre personaggio conradiano.

Di menzogna si tratta. Se è vero che per primi abbiamo pronunciato con fede e timore la parola democrazia, è altrettanto vero che nel nostro passato abbiamo ceduto alla perversità del fanatismo religioso, del colonialismo e dell'imperialismo sanguinari.

Ed è altrettanto vero che abbiamo delle colpe storiche, e politiche, anche attuali, nella regione da cui si origina la violenza del terrorismo.

Riconoscerlo è fondamentale. E’ il primo passo per la rinascita, come ci insegna Dante descrivendo il cammino infernale.

Fare chiarezza ci aiuta anche a cogliere le tracce di tacita menzogna che continuano a macchiare anche il nostro tempo. Amiamo esibire pubblicamente il nostro spirito democratico, ma perché quando si tratta di reale partecipazione noi, cittadini europei, non ci sentiamo chiamati in causa? Perché dobbiamo essere colpiti da un attentato terroristico per capire che da decenni il Medio Oriente è devastato? Perché non sentiamo di avere un ruolo e una responsabilità, come europei, e non cerchiamo di contribuire con una soluzione nostra, autonoma, anche attraverso un dibattito pubblico, capace di coinvolgere i cittadini, in nome di una vera democrazia?

Perché, nonostante sia evidente che il mondo ha bisogno degli Stati Uniti d'Europa, è così difficile indicarli come il passaggio per noi più importante, e anche solo pronunciare la parola Federazione?

La risposta a tutte queste domande sta nell'indifferenza.

L'indifferenza di una politica e di un’opinione pubblica che non vuole fare lo sforzo di capire come cambiare, che ama crogiolarsi nell’illusione di onorare i propri principi, che si bea della propria bellezza, senza voler capire le radici della guerra e della distruzione che ci circondano e aprendo così la strada alle forze politiche che predicano la fine di tutto ciò in cui diciamo di credere.

La politica democratica è innanzitutto partecipazione. Viceversa, in questa tragica indifferenza, e impotenza, collettive è la radice della nostra debolezza.

“Libertà è partecipazione” cantava Giorgio Gaber.

Come possiamo piangere questo tremendo attacco alla libertà, se prima non onoriamo con impegno e passione il sistema democratico? Come possiamo non vedere le nostre responsabilità, quando da anni il continente europeo non osa neanche balbettare risposte politiche degne di questo nome?

Se non vogliamo che la nostra sia semplicemente la libertà distopica di colui che “ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare, e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà”; se non vogliamo solo una democrazia di apparenza, se davvero vogliamo opporci alla via che sembra condurre “verso il cuore di una tenebra immensa”, è venuto il tempo di batterci per un’Europa capace di portare davvero nel mondo i suoi valori, con l’esempio, con il senso di responsabilità, con la solidarietà. E’ venuto il tempo di impegnarci per realizzare gli Stati Uniti d’Europa.

 

Informazioni aggiuntive